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Cara piccola borghesia adesso devi (ri)farti una coscienza di classe

Sulle spalle di un ceto medio sempre più tartassato e infamato grava il peso di quasi tutta l'Italia. È tempo di cambiare

Cara piccola borghesia adesso devi (ri)farti una coscienza di classe

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Che fine ha fatto la borghesia, la classe sociale che dovrebbe costituire la dirigenza di un Paese? In Italia, si è ridotta a una poltiglia conformista e impaurita, schiacciata fra i poveri, sempre più poveri, e i neocapitalisti ultrarricchiti, sempre più opulenti. La media e la piccola borghesia scivolano a loro volta verso la semipovertà. Subiscono le crisi congiunturali e in più subiscono le angherie di una pubblica amministrazione arroccata su privilegi castali. La nazione in cui nel Dopoguerra gli operai e gli agricoltori si erano «imborghesiti», aprendo micro attività famigliari e mandando i figli a scuola, si ritrova col sedere per terra.

Questa è grosso modo la sintesi del saggio di Giuliano Guida Bardi E a noi? (Solferino, pagg. 224, euro 16), dove la domanda è una rivendicazione: e a noi, chi ci pensa? Ebbene sì, chi ci pensa? Perché la middle class, da sempre abituata ad agire, indipendentemente dalle circostanze della politica, si sta atrofizzando. Ingegno, creatività, fatica, rischio: queste sono le basi dell'imprenditorialità. E invece, complice l'emergenza Covid, ricorda Guida Bardi, i piccoli imprenditori e gli artigiani sono stati guardati dall'opinione pubblica come degli evasori fiscali ai quali poteva essere concessa al massimo qualche elemosina a mo' di «ristoro», dato che i risparmi accumulati dovevano essere ben superiori a quanto risultava dalle precedenti dichiarazioni dei redditi. Facendo così di tutta l'erba un fascio, si è gettato discredito su molti che, in mancanza di un reddito dipendente e a tempo indeterminato, possono contare solo sulle proprie forze.

La classe media è sempre meno benestante. A partire dalla crisi finanziaria del 2008, e in pochi anni, i poveri in Italia, che nel 2011 erano 2,65 milioni, nel 2021 sono diventati 5,57 milioni. Per restare aggrappati all'abituale tenore di vita, hanno intaccato i risparmi. D'altronde l'inflazione corre, decollano i prezzi delle materie prime, e intanto lo Stato carica sul ceto medio oneri, imposte, tasse, e lo tormenta con procedure infinite. Come se potesse sopportare tutto. Perché in fondo, come hanno ben spiegato sociologi e politologi, da Giuseppe De Rita a Norberto Bobbio, la borghesia ha un carattere mite. Al di là di certe espressioni talvolta un po' fuori dalle righe, e strumentalizzate dai media, è fatta di persone timide, rispettose, moderate e persino ingenue. Non è necessariamente ipocrita, né arraffona. Non è quella di Un borghese piccolo piccolo (1977), né quella della virulenta canzone di Claudio Lolli, Borghesia (1972).

I tempi sono cambiati, e così la ripartizione del lavoro, e a produrre ricchezza sono sempre i soliti. Basta guardare i dati, a partire dall'Istat. Dei quasi sessanta milioni di italiani, 3,5 sono dipendenti pubblici. Poco più di 15 milioni sono dipendenti di imprese private. I precari sono circa 3 milioni. Quelli in cerca di lavoro 2 milioni; le Partite Iva 5 milioni. I cosiddetti «inattivi» (minori o persone che non cercano neanche lavoro) sono quasi 13 milioni. I pensionati oltre 16 milioni. Aggregando i dati, si hanno 26,5 milioni di italiani che lavorano, sui quali gravano i 31 restanti milioni.

Con molta dovizia di particolari l'autore di questa ricerca ci fa capire una cosa: l'economia italiana si regge in massima parte sulle micro imprese, cioè quelle che hanno meno di 10 dipendenti. Commercianti, piccoli professionisti, artigiani, ristoratori. Gente che ogni giorno si alza e si inventa la vita. Gente quasi del tutto priva di tutele. Eppure sono quelli che resistono, mentre tutti o quasi i pezzi pregiati dell'imprenditoria italiana sono stati venduti e svenduti: Versace, Gucci, Loro Piana, Richard Ginori, La Rinascente, Cariparma, Magneti Marelli, Motta, San Pellegrino, Parmalat, Eridania, Ducati, Lamborghini, solo per fare qualche esempio di marchi tra i più noti nei vari settori.

Una borghesia in declino, che non può essere salvata dalla politica, perlomeno non da questa politica, e non da questi politici. Lo Stato, pur da sempre esoso, fin dai tempi dei Savoia e della riforma fiscale di Cavour (quando gli italiani mantenevano un esercito sproporzionato), ha avuto buon gioco dopo la Seconda guerra mondiale a spingere la crescita creando debito pubblico. Finita la cuccagna, oggi il carico fiscale, per tenere in piedi la baracca, si aggira sul 44 per cento del reddito. Ma più aumenta la pressione, più si rischia l'evasione, tanto più se una fetta consistente del lavoro e della fatica di chi paga se ne vanno a compilare scartoffie. Al di là delle chiacchiere e delle promesse sempre disattese dei programmi elettorali, non si muove foglia. Di qui, l'idea provocatoria di Guida Bardi: ai borghesi serve una coscienza di classe. E serve loro riappropriarsi della libertà rispetto a uno Stato burocratico, oppressivo e invadente.

Una libertà che può essere espressa attraverso il voto, ma non ora, visto che anche le elezioni le gestiscono i partiti.

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