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Cina, il regime ora vuole purificare il linguaggio

Censura per radio e tv: stop a quell’accento e a quei termini che arrivano da Hong Kong e Taiwan, si deve usare il mandarino

Gaia Cesare

Gli americani direbbero che è cool, di gran moda insomma. Tanto che imperversa sui programmi della radio e della televisione cinese. Ma a Pechino, dove il regime comunista esercita la sua censura su tutto - musica e navigazione Internet compresi - quell'accento e quel vocabolario che arrivano da Hong Kong e Taiwan e che hanno fatto breccia sui teenager cinesi proprio non vanno a genio. Ricordano due realtà così vicine eppure culturalmente troppo libertine e il loro dilagare va fermato. «I conduttori e le conduttrici sono l'immagine delle stazioni radio e televisive e hanno perciò una responsabilità enorme nella diffusione della cultura e dell'etica nazionali e nella difesa degli interessi del Paese», hanno decretato le autorità cinesi. Un lungo e criptico discorso che giustifica l'introduzione di nuove regole - avvenuta nella metà di settembre - per imporre ai volti del piccolo e grande schermo e alle voci radiofoniche l'uso del mandarino standard al posto del sempre più diffuso «slang» importato dalle due isole.
Il tentativo di purificazione linguistica è l'ultima delle battaglie del regime per mettere un freno a quella che Pechino considera una contaminazione culturale, legata al successo dilagante di musiche e performance provenienti da Hong Kong e Taiwan e che hanno fatto tendenza in tutta la Cina. Il piano - che tocca circa tremila fra canali tv e radio del Paese, a livello nazionale e locale - rientra in un progetto ben più ampio, cominciato circa un anno fa per bloccare le influenze non-cinesi, considerate volgari dal Partito comunista. Il più temuto fra i nemici da sconfiggere è internet, che ha subìto ulteriori drastiche limitazioni per evitare la circolazione di «storie e informazioni malsane in grado di disorientare il pubblico».
Il sospetto di molti addetti ai lavori colpiti dal provvedimento è che a scatenare la furia del regime sia stato un programma estivo che ha spopolato fra il grande pubblico, raggiungendo un picco di circa venti milioni di spettatori nel corso dell'ultima puntata. Lo show - una sorta di Music Farm made in China - consisteva in una gara canora il cui vincitore veniva eletto dal pubblico tramite l'invio di sms. Un meccanismo di enorme impatto ma troppo democratico per i vertici politici cinesi, che hanno cominciato a temere che la voglia del voto in libertà potesse dilagare fra la popolazione. Il programma era presentato da Li Xiang, una conduttrice che utilizza regolarmente parole ed espressioni importate da Hong Kong e Taiwan mentre si prende gioco degli ospiti che si esibiscono sul palco. Ironia della sorte, poi, la vincitrice della competizione è stata Li Yuchun, una ragazza lontanissima dai canoni estetici prediletti dalla tv di Stato e per questo definita «mascolina». Un mix esplosivo, insomma, che ha spinto le autorità cinesi a includere nel nuovo decalogo il divieto di «atteggiamenti ammiccanti in scena».


E mentre l'autorità televisiva che ha adottato le nuove regole si rifiuta di commentarle sostenendo che sono state suggerite da un'associazione che si occupa di radio e tv, la nuova reginetta pop sfida Pechino e promette che inciderà presto un disco e ha già in programma una serie di esibizioni in tutto il Paese.

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