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Tasse 2023: ecco quanto (e quali) hanno "colpito" il portafoglio degli italiani

Secondo i dati della Cgia di Mestre solo Francia e Belgio hanno avuto un carico fiscale maggiore del nostro

 Tasse 2023: ecco quanto (e quali) hanno "colpito" il portafoglio degli italiani

È uno dei nodi centrali per l’economia del nostro Paese a cui il governo sta provando dare risposte intervenendo su elementi differenti della fiscalità; fatto sta che la questione di quanto incidono le “tasse” sul portafogli degli italiani, resta ancora un “tema aperto” .

Con la riforma dell’Irpef che prevede la riduzione degli scaglioni dai precedenti 4 a tre, e il taglio del Cuneo fiscale, il governo sta tentando di alleggerire la pressione fiscale sugli italiani che nel 2023 dovrebbe calare al 42,5%, circa 0,2 punti percentuali in meno rispetto al 2022. Si tratta comunque, di un “carico” estremamente gravoso per gli italiani, considerando che solo Francia e il Belgio hanno registrato un peso fiscale maggiore al nostro, con il 47,7% e il 45,1% (prendendo a riferimento l’annualità 2022).

Secondo i dati della Cgia di Mestre, difatti, ad ottobre scorso l’Erario aveva incassato 28 miliardi di euro in più rispetto allo stesso periodo del 2022 (pari al +4,4 per cento) a cui vanno sommati i gettiti in ingresso per le mensilità di novembre e dicembre. Ma come si ripartiscono e quanto hanno inciso, nel 2023, le tasse sulle "tasche" degli italiani? Vediamo meglio.

Tasse sul lavoro

Si tratta della voce che maggiormente incide sui bilanci degli italiani e su cui il governo è iniziato ad intervenire attraverso il taglio del cosiddetto “cuneo fiscale”.

Facendo riferimento alla busta paga, la tassazione dello stipendio in Italia presenta diverse voci che vanno dall’Irpef ai contributi Inps, a cui si possono aggiungere anche le addizionali regionali e comunali Irpef.

L’imposta sul reddito delle persone fisiche è sicuramente la voce principale e, pertanto, è stato oggetto a delle modifiche negli scorsi giorni con il superamento del precedente sistema che si basava su 4 aliquote suddivise in base al reddito nel seguente modo:

  • per il reddito imponibile di 15.000 euro l’anno, l’aliquota è del 23%;
  • per il reddito imponibile tra 15.001 e 28.000 euro, l’aliquota del 25%;
  • per il reddito tra 28.001 e 50.000 euro, l’aliquota è del 35%;
  • per il reddito imponibile che supera 50.000 euro, l’aliquota è pari al 43%.

Chi percepiva un reddito che non supera 8.714 euro l’anno, non è tenuto al pagamento dell’irpef.

Con la riforma in corso ci saranno tre scaglioni:

  • per i redditi fino a 28mila euro aliquota sarà 23%
  • per i redditi tra 28mila e i 50mila euro, l'aliquota sarà al 35%;
  • per chi supera i 50mila euro l’aliquota sarà del 43%.

Poi bisogna considerare le eventuali addizionali regionali e comunali che si calcolano sempre sull’imponibile (in media il 0,9%) con facoltà per le singole regioni di aumentare questa aliquota fino all’1,4%.

Altra voce estremamente incidente (sia per le partita iva che per i consumatori) è l’Iva, l’imposta viene applicata direttamente su tutti i beni ed i servizi acquistati. L’iva si attesta al 22%, con delle eccezioni come i beni di prima necessità che sono tassati al 4%, le prestazioni sanitarie al 5% e gli alimenti non di prima necessità che si fermano al 10%.

Bisogna ricordarsi, inoltre, che la tassazione dello stipendio non è integralmente a carico del lavoratore ma che alcune voci sono di competenza del datore di lavoro.

E le voci a carico dell’impresa non sono di certo inferiori a quelle del lavoratore; in un articolo di Wall Street Italia si ricorda che le tasse a carico del datore di lavoro sono davvero tante: IRAP, imposta regionale attività produttive; IRES, imposte reddito società; ritenute utili societari; diritti Camere di Commercio; imposta sostitutiva rivalutazione beni d’impresa; tassa annuale registri contabili; imposta sostitutiva regime forfettario; IAS, imposta adeguamento diritti contabili; imposte doganali; tassa iscrizione albi professionali o abilitazione; imposta regionale concessione beni demaniali; TOSAP, tassa occupazione suolo pubblico

Infine, il datore di lavoro, inoltre, fa da sostituto d’imposta per il lavoratore (anticipando mensilmente le spese) recuperando poi gli anticipi in un secondo momento.

Le “altre tasse”

Oltre alle tasse direttamente legate al lavoro e all’impresa, vanno considerate anche le tasse che gravitano sulle persone fisiche e sui consumi tra cui, ad esempio le tasse sull’istruzione, cioè tutte le spese sostenute per l’istruzione dei propri familiari anche se alcune di queste sono detraibili in sede di dichiarazione dei redditi e dunque, in qualche modo, rientrano nei bilanci familiari.

Tra le voci di spese che maggiormente incidono sul bilancio familiare ci sono, certamente, quelle sulla casa come l’Imu (imposta municipale unica) e la Tari; l’Imu può incidere davvero tanto sul bilancio familiare anche se non riguarda le “prime case” (salvo quelle di lusso) ma solo i proprietari di prime case di lusso, ovvero appartenenti alle categorie catastali (A/1, A/8, A/9).

La Tari, invece, è la tassa sui rifiuti, tributo destinato a finanziare i costi relativi al servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti ed è dovuta da chiunque possieda o detenga a qualsiasi titolo locali o aree scoperte suscettibili di produrre i rifiuti medesimi.

Infine ci sono altre “tasse” che i contribuenti devono sostenere tra cui, ad esempio, il canone Rai, la cedolare secca sugli affitti e le imposte registro e sostitutiva.

Quanto incidono sul bilancio familiare

Rispondere a questa domanda in termini puramente monetari è complesso, perché dipende da svariati fattori a partire dal reddito, se il lavoro che si svolge è dipendente o meno, se si hanno delle case di proprietà, dei figli ecc. ecc. .

Resta però un dato che evidenzia quanto le tasse incidano sul bilancio familiare: l’8 giugno scorso, come ricorda la Cgia di Mestre è stato il Tax Freedom Day, “ovvero la giornata in cui i contribuenti italiani dovrebbero finire di pagare le tasse, nel caso in cui decidessero di anticipare al fisco i soldi che lo stesso ci chiede nel corso di questo 2023.

Insomma, dopo 158 giorni dall’inizio dell’anno, nei quali in linea teorica abbiamo lavorato per adempiere alle scadenze di pagamento previste dal fisco, i restanti 207 giorni che ci separano dal 31 dicembre lavoreremo per noi stessi”.

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