Guerra in Israele

Così la barbarie di Hamas si è trasformata in pogrom

Fiamma Nirenstein in "7 ottobre 2023 Israele brucia" ricostruisce la genesi dell'atroce attacco terroristico

Così la barbarie di Hamas si è trasformata in pogrom

La mattina del 7 di ottobre il sole era bellissimo sulla sabbia gialla, sull'erba dei kibbutz, le poltrone a dondolo sotto la loggia, le sculture sbilenche, le biciclette da bambini, le auto elettriche per i nonni, le conchiglie infilate su spaghi che dondolano al vento tintinnando di fronte alle case. Il mare non è lontano. Tutti dormono, sono le sei di mattina di Shabbat. Poco lontano, una folla di migliaia di giovani balla nella musica battente del rave, a una festa chiamata Nova, ci si stordisce di gioventù e di pace fino a crollare di sonno.

Nei kibbutz del Sud, nelle famiglie d'Israele, si preparava una giornata di festa, senza sapere che la realtà ruggiva sui pick-up bianchi e tagliava le reti e le mura per entrare. Gli abitanti di Be'eri o di Kfar Aza avevano voluto rappresentare al Sud un disegno della patria del popolo ebraico fra i più sognanti, alla maniera del primo XXI secolo, un po' socialista, molto amorosa, ecologica, pacifica, anche tecnologica, persino disegnando con gli abitanti di Gaza, vicini di casa al di là dello spazio giallo, un dialogo quotidiano, con regali ai bambini, biscotti, cure mediche condivise.

Alle 6:30 dorme la miriade di bambini, circa tre per famiglia, principi e principesse padroni di tutto, verso un nuovo risveglio regale di baci e biscotti; i nonni hanno lasciato la tavola del venerdì sera mezza apparecchiata, con le tracce delle grandi famiglie che hanno mangiato i cibi del passato polacco o marocchino; dormiranno ancora un po' anche i ragazzi post-esercito coi capelli lunghi, la chitarra appoggiata nell'angolo, il telefonino che già ronza di molti TikTok che cercano invano di avvertire: «Svegliatevi, succede qualcosa». Ma è già troppo tardi. Nelle case i molti libri, i molti fiori, i molti ideali di pace saranno bruciati con le granate termobar speciali, grossi fusi neri, quelli inesplosi li abbiamo visti lasciati a decine dopo la strage che sviluppano 2000 gradi e carbonizzano qualsiasi cosa, rendendo irriconoscibili le vittime e privi di identità case, oggetti e persone. Così è stato. Ho visto le vittime carbonizzate in fotografia, sembrano quelle di Pompei.

Mentre cominciano a piovere i missili ovunque, molto oltre la solita routine delle città del Sud, sempre come bombardate da Hamas, mi telefona la mia amica Ruthie, stupita: «Sai per caso come mai ci sparano tanto e dappertutto?». Non lo so, nessuno lo sa, nessuno se l'aspettava, Israele come nel 1973, quando la Guerra del Kippur fece 11.656 vittime ha creduto che la sua superiorità morale, tecnologica, la sua mitica forza di sopravvivenza contro tutto e tutti cancelli ogni avvertimento, ogni pronostico: e invece tutto sarà in breve cenere e sangue.

Negli anni Venti e Trenta, in Europa, Gershom Scholem, Franz Rosenzweig, Walter Benjamin e tanti altri dormivano sulla raffinatezza dei pensieri tedeschi più sofisticati, col sentore che qualcosa si stesse preparando. Si permettevano, su questo, contrasti e tristezza. Ma non sapevano, proprio a causa della loro sofisticata superiorità, della loro speranza nella vita unita a prosopopea, che lavorava nell'ombra un mostro che pianificava come uccidere tutti gli Ebrei, a uno a uno, e seppellirli sotto le rovine d'Europa.

Così Be'eri riposa fino alle 6:30 fra i sogni israeliani più ambiziosi; è uno dei kibbutz di confine noti per il suo pacifismo, vuole curare il mondo, cerca laicamente il tikkun olam, la riparazione del mondo con cui l'uomo aiuta Dio a perfezionare la creazione. Ma poi la verità si è tinta di un solo colore, quello del sangue degli Ebrei, e il pogrom è arrivato sui pick-up.

Batia Olik, che aveva fatto con cinque fotografi di Gaza in incognito una mostra di grande successo, ne ha visti eclissarsi quattro mentre si preparava l'eccidio, e il quinto, durante la strage, ha cominciato a chiamarla sul telefonino per chiederle, da dentro il confine dove evidentemente si era introdotto con i mostri, dove fosse, se intorno a lei c'erano soldati, se era con tutta la famiglia. «Solo allora, mentre ci cercavano per ammazzarci nel nostro nascondiglio, ho capito che era un terrorista».

Per credere che quello che è accaduto è realtà, ho dovuto guardare diverse volte il footage raccolto dagli uomini stessi di Hamas con le loro telecamere, ho dovuto ascoltare e riascoltare cento storie di orrore, visitare le rovine, incontrare i sopravvissuti... e ancora è difficile credere ai propri occhi e alle proprie orecchie. All'ombra delle gallerie sotto le case di Gaza, o su e giù per la no man land fra Gaza e Israele, gli uomini di Hamas avevano ricevuto per mesi un allenamento preciso e istruzioni dettagliate. La loro preparazione, come quella siriana e egiziana per la Guerra a sorpresa del '73, non era ignota: si erano tenute riunioni, erano stati distribuiti foglietti con istruzioni e piante. Gli ordini erano: «Mentre da qui partono i missili e tutti si rifugiano in casa, irrompete, uccidete, violentate, fatte a pezzi, bruciate, tagliate le teste e gli arti». Di chi? Di tutti. Compresi neonati, mamme, bambini, vecchi, ragazze e ragazzi. E una parte, sempre con la più svariata campionatura di Ebrei perché il gioco del ricatto sia perfetto, portatela in ceppi dentro Gaza».

Sinwar ha esercitato bene la sua fantasia strategica, ordinando di uccidere e fare a pezzi i figli in braccio alle madri e le madri di fronte ai figli, inventando ogni possibile modo per dettagliare la cannibalica decisione di terrorizzare più dell'ISIS, di sterminare nel modo più crudele possibile; la tecnica per cui ha comandato di mettere i neonati vivi nel forno acceso, di violentare le donne di qualsiasi età, anche le bambine, sia da vive che da morte, e in modo tale da spezzare il bacino e le gambe, di evirare gli uomini e i bambini, di decapitare, di bruciare vive intere famiglie insieme al rogo dei loro oggetti, di tutti i simboli della loro vita, doveva per sempre rappresentare la legittima ira del suo movimento e renderlo il leader assoluto dell'odio contemporaneo. Sinwar ha messo Hamas alla testa di un movimento mondiale di destrutturazione della storia che legittima la rabbia come bandiera di vita, l'unica che ritiene possibile contro la civiltà.

È un movimento che ha deciso che il frutto della storia e della religione del nostro tempo, compresa la civiltà ebraico-cristiana ma anche la cultura dei diritti umani, è un vantaggio solo per chi l'ha inventata e uno strumento di oppressione da fare a pezzi per chiunque altro: così la scelta demoniaca di radere al suolo la civiltà può usare qualsiasi mezzo per distruggere i colonialisti, gli imperialisti, i razzisti, i ricchi, i bianchi, e soprattutto, certo, gli Ebrei.

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