Letteratura

Così Pamuk dipinge i suoi romanzi

Per dieci anni, lo scrittore ha riempito taccuini di appunti e disegni. Il risultato è unico

Così Pamuk dipinge i suoi romanzi

Ricordi di montagne lontane, di Orhan Pamuk (Einaudi, traduzione di Margherita Botto, pagg. 381, euro 34), è il libro con cui l'autore cerca di conciliare la sua prima vocazione artistica, la pittura, con quella letteraria che ne prese il posto. Per tutta l'adolescenza Pamuk si ritenne un pittore, studiò architettura, intasò di tele la sua stanza di studente. All'età di ventidue anni, il pittore che era dentro di lui «morì» e «cominciai a scrivere romanzi»... Mezzo secolo dopo, entrando in una cartoleria di Istanbul, si è trovato a fare incetta «di matite e di pennelli» e poi ha cominciato «a disegnare su piccoli taccuini, fra il piacere e il timore. Sì, il pittore in me non era morto».

Va detto che Pamuk dipinge allo stesso modo con cui scrive i suoi romanzi. È cioè un miniaturista, attentissimo al paesaggio, ai colori, starei per dire alla calligrafia dell'immagine. In questo le sue radici sono prettamente orientali, compresa una fascinazione e un interesse per l'Estremo oriente pittorico, cinese, più che giapponese. Non ci sono quasi mai volti e figure nei suoi taccuini, quei volti e quelle figure di cui invece la sua narrativa è piena, in sintonia con la lezione occidentale del romanzo che Pamuk ha fatto propria in modo però del tutto personale, e di cui l'esempio più convincente è quel Museo dell'Innocenza che da romanzo visivo si è trasformato poi in un'esposizione permanente vera e propria che ne conserva il nome e dove si può vedere nella realtà ciò che sulla pagina era affidato alla descrizione fantastica: boccette di profumo e pacchetti di sigarette, foulard e poltrone, abiti, fotografie, oggetti di uso quotidiano... Pochi scrittori come Pamuk sono riusciti a dare un'immagine ai propri sogni e del resto «i sogni sono fatti per essere visti. Raccontare i propri sogni è inutile. I sogni non si lasciano trascrivere in parole».

Ricordi di montagne lontane è un libro complesso, difficile da raccontare proprio perché intriso di una dimensione onirica che l'immagine si incarica di trasmettere di pari passo con una scrittura che è invece impastata di quotidianità: cene, incontri, avvenimenti. «Non pubblicare cose troppo personali... scrivi sul paesaggio» è una delle sue annotazioni che è insieme la spia di un progetto editoriale, perché i taccuini raccolti racchiudono un arco di tempo decennale e sono gli occhi a mostrarci «il nostro vero posto nell'universo». Un arco di tempo, oltretutto, non cronologico, nel senso che gli anni non seguono un ordine progressivo, ma si intrecciano fra loro, del tutto distaccati come sono dall'attualità nel senso socio-politico del termine. Del resto, ciò che veramente a Pamuk interessa è il processo, delicato eppure inarrestabile, della creazione letteraria e questi taccuini sono un vero e proprio laboratorio in cui immaginare trame e studiarne l'architettura, in un dialogo perpetuo con i personaggi dei libri che verranno: «Essere immerso in un romanzo, viverci in sintonia ogni giorno... Non posso vivere senza questo. Se il mondo non diventa testo, se non chiama a essere scritto... difficile abitarlo. Scrivere, contemplare il paesaggio, penetrare nelle vite degli altri...».

Le immagini più struggenti del libro, e insieme le più ricorrenti, in singolare contraddizione con il suo stesso titolo, sono immagini marine, spiagge, acque, imbarcazioni... Pamuk è un nuotatore e questo spiega molto della sua solitudine di uomo e di scrittore. «Un bambino che guarda un battello, un peschereccio in lontananza! Non c'è dubbio: quel bambino sono io. Un bambino che si riempie di felicità non appena scorge il mare. Il mare è espressione di una libertà, di una vastità dell'esperienza che vanno ben oltre la mia portata nella vita di tutti».

Per quanto il decennio raccontato e illustrato sia stato pieno di avvenimenti, dalle Primavere arabe al fallito golpe nella sua stessa Turchia, alle mille tensioni internazionali, non molto di tutto ciò viene nei taccuini trattenuto. Pamuk è uno scrittore politico in senso lato, come lo sono tutti gli scrittori che esprimono attraverso le loro opere una particolare visione del mondo, ma non è uno scrittore impegnato. Gli fa velo, come rivela una piccola diatriba con lo scrittore indiano Amitav Ghosh, il suo essere «cittadino del terzo mondo» e insieme «intellettuale famoso in Occidente», con la tendenza da un lato di «rappresentare il terzo mondo come eterna vittima», e dall'altro la difficoltà, da lui sentita però come una necessità, «di criticare il loro Paese, il loro popolo, la loro cultura sociale, nei minimi aspetti della vita quotidiana»... E ancora: «Sono passati dieci anni e vivo ancora al ritmo di queste paure, delle campagne di accuse, degli scandali. Provo al tempo stesso il desiderio di esprimermi, di criticare, e la paura di attirarmi dei guai, paura degna di un Paese del Terzo mondo dove non esiste la libertà...».

Diario di viaggio, l'India e gli Stati Uniti, l'Europa, Italia, Spagna, Francia, Grecia, il legame inscindibile con la Turchia, Ricordi di montagne lontane nasce in parallelo con quelle lezioni americane che saranno poi raccolte in Romanzieri ingenui e sentimentali: letti insieme, i due libri si illuminano a vicenda. «Trasformiamo mentalmente in immagini le parole» scrive Pamuk nel primo, raccontando di come si legge un romanzo, e così «completiamo la storia. Nel farlo, sproniamo la nostra immaginazione a cercare ciò che il libro dice o ciò che il narratore vuole dire, ciò che intende dire, ciò che supponiamo stia dicendo in altre parole, a cercare il nucleo centrale del romanzo». Nel secondo, è il narratore a farci vedere dall'interno come funziona la macchina narrativa, ovvero i momenti personali di creatività nei romanzi: «I libri prendono vita sotto i miei occhi dapprima grazie a un'immagine, una scena. Non posso immaginare altri tipi di romanzi».

E ancora: «Quando si scrive un romanzo ambientato nel passato e che copre un lasso di parecchie decine d'anni, la cosa più difficile è dosare bene il TEMPO».

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