Cronaca giudiziaria

"Favorisce il caporalato dei cinesi": commissariata la Giorgio Armani operations

Secondo l'inchiesta, "l'azienda appaltatrice dalle case di moda dispone soltanto nominalmente di adeguata capacità produttiva"

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Non verrà messa nelle mani di un amministratore esterno, al posto di Giorgio Armani e dei suoi manager non andrà a sedersi un professionista nominato dai giudici: ma per il marchio più celebre del Made in Italy è comunque una brutta botta, quella che arriva questa mattina dal Tribunale di Milano. Armani è accusata di avere impiegato sistematicamente manodopera sottopagata per realizzare i suoi capi supergriffati famosi in tutto il mondo. Per questo da oggi nel board dell'azienda, accanto ai dirigenti scelti dalla proprietà, andrà a sedersi un dirigente scelto dal tribunale, con il compito specifico di monitorare la filiera produttiva e di impedire che, di appalto in appalto, la realizzazione dei capi col marchio dell'aquila sia affidata a lavoratori sfruttati.

Nel comunicato che annuncia il provvedimento, diramato questa mattina dal presidente del tribunale di Milano Fabio Roia, si spiega che l'ordinanza è stata emessa "anche in aiuto alla realtà aziendale, la quale dovrà, sotto il controllo del Tribunale, procedere ad un programma di riqualificazione degli assetti organizzativi interni idoneo a prevenire nella filiera degli appalti situazioni, come quella accertata, di sfruttamento dei lavoratori in fattispecie di reato, riconduciblli a terzi estranei alla società, ex articolo 603 bis del codice penale". È l'articolo che punisce col carcere fino a sei anni chi "recluta manodopera allo scopo di destinarla al lavoro presso terzi in condizioni di sfruttamento, approfittando dello stato di bisogno dei lavoratori". È il cosiddetto caporalato, piaga una volta del lavoro agricolo nelle campagne del sud Italia e divenuto oggi patologia dell'economia globale.

Nel comunicato un passaggio importante è quello in cui si spiega che i responsabili del reato sono "terzi estranei alla società", questo significa che né Armani né il suo staff sono indagati nell'inchiesta del pm Paolo Storari. Ma il colpo è duro. Anche se, nel decreto, Armani appare in numerosa compagnia: il teste cinese che ha dato il via all'inchiesta ha spiegato che l'azienda bergamasca che monopolizza i subappalti nel settore delle scarpe, delle borse e della pelletteria lavora praticamente per tutti i marchi del made in Italy, compresi Trussardi e Versace: ma nel caso di Armani la situazione particolarmente grave. Si parla di "prassi illecita radicata". Nei laboratori cinesi sotto accusa gli operai facevano turni di 14 ore pagati due euro all'ora in "condizioni alloggiative degradanti".

Dopo Alvaro Martini, Armani è il secondo grande nome della moda italiana a finire nel mirino della sezione "Misure di prevenzione" del Tribunale di Milano. Il cui presidente Fabio Roia invoca ora una iniziativa della Prefettura per "cogliere preventivamente le criticità operative degli imprenditori di questo che costituisce un settore di mercato di particolare rilevanza per il sistema economico nazionale".

Di seguito la nota ufficiale pubblicata dalla società: "Apprendiamo della misura di prevenzione decisa dai Tribunali di Milano nei confronti della Giorgio Armani Operations. La società ha da sempre in atto misure di controllo e di prevenzione atte a minimizzare abusi nella catena di fornitura.

La Giorgio Armani Operations collaborerà con la massima trasparenza con gli organi competenti per chiarire la propria posizione rispetto alla vicenda".

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