Cronaca giudiziaria

"Lascio l'islam". E il marito la massacra di botte

Un trentaseienne magrebino deve difendersi a Treviso dall'accusa di maltrattamenti in famiglia. Avrebbe minacciato e malmenato per anni la consorte, anche a causa della decisione della donna di convertirsi al cristianesimo

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Avrebbe più volte picchiato, minacciato e insultato la moglie, anche davanti ai figli minorenni. Violenze che si sarebbero acuite quando la consorte gli palesò la scelta di abbandonare la religione islamica per convertirsi al cristianesimo. Queste le accuse mosse ad un uomo di 36 anni originario dell'Africa del Nord, il quale nelle scorse ore è comparso in tribunale a Treviso. Secondo quanto riportato dalla stampa locale, il cittadino straniero dovrà rispondere dell'accusa di maltrattamenti in famiglia: a farne le spese sarebbe stata la moglie, una donna italo-tunisina di 38 anni. Sulla base di quel che riporta il quotidiano La Tribuna di Treviso, quest'ultima sarebbe stata picchiata e minacciata per un quadriennio dall'ormai ex-marito e si sarebbe vista costretta a lasciare Ragusa (dove si era stabilita con il coniuge e i figli) per rifugiarsi nella provincia veneta, dove viveva la madre.

I fatti contestati si sarebbero concretizzati nel dettaglio fra il 2017 e il 2021. In un momento in cui la relazione fra i due stava attraversando a quanto pare una crisi, la donna aveva a quanto sembra trovato nella religione cristiana un conforto per lenire le presunte umiliazioni che stava a suo dire subendo fra le mura domestiche. Non avrebbe tuttavia fatto i conti con il marito straniero, il quale si oppose sin da subito al suo proposito di conversione. E la situazione sarebbe precipitata nel giro di breve tempo, fra percosse e minacce di morte. “Adesso ti cavo gli occhi. E poi ti metto la testa sotto le ruote dell’auto e ti uccido”, le avrebbe detto l'allora marito nel corso di una vacanza in Tunisia risalente al 2019. Ma di episodi citati nel capo d'accusa ce ne sarebbero diversi. Nella primavera del 2017, davanti alla madre che era andata a trovarla in Sicilia, il marito le avrebbe ad esempio rifilato un pugno improvviso capace di farla stramazzare al suolo, sanguinante.

Poi nel 2018, incinta del secondo figlio, la presunta vittima si sarebbe vista puntare un coltello alla gola. E via sino al 2021, quando la donna, ormai stanca, minacciò di denunciare il marito ai carabinieri. E quest'ultimo, dopo averle rifilato un paio di pugni in pieno volto, avrebbe esternato l'intenzione di ucciderla brandendo un coltello. Dai vieni fuori se hai il coraggio - le avrebbe detto - esci di casa che ti uccido”.

Nel frattempo la donna si era ormai convinta a lasciare l'Islam. E questa sua scelta era diventata un ulteriore motivo d'attrito. Temendo per la propria vita, un giorno decise quindi di abbandonare il tetto coniugale e di trovare rifugio con i figli a casa della madre. L'imputato, per contro, l'avrebbe accusata di aver poi cambiato religione (a seguito della separazione) per liberarsi di lui e tenere con sé i figli. Il processo è quindi stato rinviato al 27 ottobre prossimo, quando il giudice dovrebbe inoltre emettere la sentenza.

Al di là della cronaca la politica si interroga sul da farsi. Al Parlamento europeo si è tenuto un convegno dal titolo "Evento sulle vittime di reato e strategie di contrasto alla violenza contro le donne". L'on.

Angelo Ciocca (Lega) insieme al Garante regionale per la tutela delle vittime di reato della Regione Lombardia ha cercato di sensibilizzare tutte le forze politiche affinché, vista l'estrema gravità della situazione, si possa trovare una posizione univoca da parte dei Paesi dell’Ue, allo scopo di inserire come "aggravante" quella della cultura che orienta e determina la commissione del reato.

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