Cronaca giudiziaria

Mancato accordo col collega”. La pm chiede di lasciare il caso Pifferi

La pm Rosaria Stagnaro chiede al procuratore Viola la revoca della co-assegnazione del fascicolo. Il motivo: il disaccordo col collega che ha avviato l'inchiesta sulle psicologhe e sull'avvocata della 38enne

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“Mancato accordo col collega”. La pm chiede di lasciare il caso Pifferi

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Altro colpo di scena in procura a Milano sul caso Pifferi. La pm Rosaria Stagnaro, che ha coordinato il fascicolo sulla morte di Diana Pifferi, la piccola di 18 mesi morta di stenti dopo essere stata abbandonata per cinque giorni dalla madre Alessia Pifferi, in carcere da luglio 2022, ha chiesto formalmente al procuratore capo di Milano Marcello Viola la revoca della co-assegnazione della indagine per “mancato accordo” con il collega Francesco De Tommasi. Stagnaro fa parte del dipartimento fasce deboli, coordinato dalla procuratrice aggiunta Maria Letizia Mannella.

Il motivo del mancato accordo è la decisione di De Tommasi di avviare uno “spin off” dell’indagine, cioè quella che vede indagate per falso e favoreggiamento le due psicologhe del carcere che fecero i test alla Pifferi e la sua avvocata Alessia Pontenani. Indagine, con perquisizioni a casa e negli studi delle due professioniste, che ha provocato una bufera negli ambienti giudiziari. Gli avvocati, con l'Ordine degli avvocati e la Camera Penale, avevano infatti diffuso un comunicato di fuoco in difesa della collega Pontenani, sostenendo che fosse un "atto intimidatorio" che ledeva il diritto di difesa della 38enne.

L’inchiesta milanese di De Tommasi vede due psicologhe e l'avvocata indagate per avere, secondo l’accusa, favorito Alessia Pifferi, a processo in Assise a Milano per l’omicidio della figlioletta di due anni, fornendole una vera e propria “consulenza difensiva” mascherata da “assistenza psicologica”. Indagine che sta facendo discutere anche perché è ancora in corso il processo in cui si attende, a giorni, il deposito di una perizia psichiatrica super partes sull’imputata. Si ipotizza qui che le professioniste, con la legale, parteggiassero per lo stesso obiettivo, cioè il riconoscimento di un “deficit cognitivo” della imputata.

E che abbiano così falsificato atti proprio per fornire una pezza d’appoggio” per fondare con “successo una richiesta di perizia psichiatrica” sulla imputabilità.

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