Cronaca giudiziaria

Morì dopo il raschiamento: condannati i ginecologi

Doveva essere un intervento di routine. Si è trasformato in una tragedia, con la morte di una 40enne all'Humanitas per una grave emorragia dovuta alla perforazione dell'utero che non le ha lasciato scampo.

Morì dopo raschiamento all'Humanitas. Ginecologi condannati a 9 mesi

Avrebbe dovuto essere un intervento di routine. Si è trasformato in una tragedia, con la morte di una 40enne a causa di una grave emorragia dovuta alla perforazione dell'utero che non le ha lasciato scampo. Per gli errori che hanno portato alla morte di Emanuela Postacchini, impiegata della Deutsche Bank, madre di una bimba che all'epoca aveva 4 anni, sono stati condannati oggi a Milano a 9 mesi di carcere, pena sospesa, due ginecologi dell'Humanitas, accusati di omicidio colposo perché avrebbero “con negligenza e imperizia”, causato la morte della donna che si era sottoposta a un raschiamento dopo un aborto spontaneo, nell'aprile 2018. Si tratta di Paolo Levi Setti e Laura Sacchi: per entrambi il pm Mauro Clerici aveva chiesto la condanna a un anno di carcere con l'accusa di omicidio colposo. La giudice Maria Idria Gurgo di Castelmenardo, della undicesima sezione penale, ha stabilito anche risarcimenti (in sede civile) per la madre della donna, assistita dall'avvocato Marco Leanza, e per il compagno di vita Antonio Cornacchia e per la figlioletta, assistiti dagli avvocati Antonio Ferrari e Sergio Vitale. Una terza dottoressa ha già patteggiato una condanna. "Faccio fatica a realizzare pienamente la situazione, ma sono soddisfatto della sentenza", le parole di Cornacchia al Giornale.it, presente all'udienza di oggi pomeriggio. "Sono stati anni difficili, è stato un processo molto aggressivo". E ancora: "Dal punto di vista personale non è stato semplice, certo si fa i conti con la situazione ma ho avuto la fortuna di avere nostra figlia. L'averla accudita e cresciuta mi ha aiutato ad andare avanti".

La donna, originaria di San Benedetto del Tronto, aveva avuto un aborto spontaneo tra la settima e l'ottava settimana di gravidanza, ad aprile 2018. D'accordo con la ginecologa di fiducia, decise di sottoporsi alla cavità uterina all'ospedale di Rozzano, polo di eccellenza del settore. Sono le 13 del 12 aprile di cinque anni fa, quando entra in sala operatoria: l'intervento dovrebbe durare circa un quarto d'ora, ma lei resta in sala operatoria fino al pomeriggio. Solo in serata i medici dichiarano il decesso per dissanguamento, dovuto all'emorragia provocata dalla perforazione dell'utero. Una complicazione rara, eppure possibile in questo tipo di interventi e che richiede una isterectomia – l'asportazione dell'utero – d'urgenza. Secondo la consulenza tecnica del pm Mauro Clerici i medici hanno perseverato in un comportamento "attendista, assecondando gli eventi che evolvevano in uno choc emorragico non più gestibile, e alle 14,40 nell'arresto delle funzioni cardiocircolatorie e successivamente nella morte della signora". L'Humanitas con una nota ha affermato: "Prendiamo atto della sentenza di primo grado che colpisce i nostri medici, attendendo di leggere le motivazioni che hanno condotto il giudice a questa decisione. Esprimiamo nuovamente la nostra vicinanza alla famiglia, colpita così duramente, e manteniamo piena fiducia nei nostri professionisti".

Nel processo è stato ricostruito che il primario arrivò in sala operatoria intorno alle 14 di quel giorno e che gli anestesisti, come scritto anche nella cartella clinica della donna, avevano invitato l'equipe a eseguire immediatamente l'isterectomia. Probabilmente allo scopo di salvarle l'utero, i ginecologi non praticarono subito l'intervento che fu poi eseguito alle 15.20, quando però era ormai troppo tardi. Nell'arco delle due ore seguite al momento della perforazione dell'utero le furono somministrati alcuni farmaci che però non ebbero effetto sull'emorragia.

Nonostante poi le trasfusioni di oltre 15-16 litri di sangue, la donna morì comunque dissanguata.

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