Cronaca internazionale

"Una bomba pronta a esplodere": la rivolta che preoccupa la Cina

La notizia, impossibile da verificare, è stata rilanciata da vari media che hanno parlato di di "violente proteste" scoppiate dall'11 al 15 gennaio a Helong, una città cinese nella provincia nord-orientale di Jilin, al confine con la Corea del Nord

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Alcuni lavoratori nordcoreani operativi in Cina potrebbero aver dato vita ad una protesta violenta che sarebbe costata la vita ad un funzionario inviato da Pyongyang per monitorare la loro attività all'interno di fabbriche di abbigliamento. La notizia, impossibile da verificare, è stata rilanciata da vari media che hanno parlato di di "violente proteste" scoppiate dall'11 al 15 gennaio a Helong, una città cinese nella provincia nord-orientale di Jilin, al confine con la Corea del Nord.

Proteste nordcoreane in Cina?

Il quotidiano sudcoreano Korea Times ha citato un funzionario del National Intelligence Service secondo cui recentemente si sarebbero verificati "incidenti" che hanno coinvolto lavoratori nordcoreani all'estero a causa delle loro cattive condizioni di lavoro. La fonte, anonima, ha rifiutato di approfondire aggiungendo solo che l'agenzia sta ora "raccogliendo fatti" su quanto avvenuto. Per il think tank Korea Institute of National Unification almeno un funzionario del governo del Nord sarebbe morto mentre altri tre sarebbero rimasti gravemente feriti in alcuni episodi presumibilmente avvenuti in Cina.

Le ragioni della presunta protesta? Pare che i lavoratori fossero infuriati per il fatto che i loro stipendi pagati per anni fossero stati inviati al Partito dei Lavoratori a Pyongyang senza il loro consenso o che ne fossero a conoscenza. Ko Young-hwan, un ex diplomatico nordcoreano, ha affermato di aver appreso dalle sue fonti nella regione che migliaia di nordcoreani impegnati nelle fabbriche di abbigliamento e negli impianti di lavorazione della pesca avrebbero inscenato proteste chiedendo il pagamento dei salari arretrati. Il personale di circa 15 siti non avrebbe intascato circa 10 milioni di dollari per svariati anni di lavoro non retribuito (dai 4 ai 7). Sembra che gli stessi lavoratori abbiano accettato di porre fine alle proteste dopo aver ricevuto rassicurazioni sull'ottenimento dei loro salari arretrati.

Il numero esatto di nordcoreani che lavorano all’estero non è noto. Il governo degli Stati Uniti ha stimato nel 2019 che circa 100.000 nordcoreani sarebbero impegnati in cantieri edili, fabbriche, campi di disboscamento e in altri siti sparsi in tutto il mondo. Gli esperti ritengono che la maggior parte di loro possa lavorare in Cina, il principale mecenate del Nord. Le autorità cinesi in genere non divulgano informazioni sulle condizioni dei lavoratori migranti dalla Corea del Nord, un'area grigia nell’industria manifatturiera del Paese che è tecnicamente vietata dalle sanzioni delle Nazioni Unite , le quali vietano l’assunzione di cittadini nordcoreani.

Le possibili ripercussioni

Wang Wenbin, portavoce del ministero degli Esteri cinese, ha dichiarato in una conferenza stampa che non ci sono disertori nordcoreani che vivono in Cina. Gli individui che entrano illegalmente nel Paese per ragioni economiche, ha aggiunto, costituiscono una violazione delle leggi cinesi. Le notizie di fantomatici disordini tra i lavoratori nordcoreani a Jilin sembrano risalire a un'intervista del citato Ko Young-hwan, un ex diplomatico nordcoreano che ha disertato nel Sud nel 1991. Ko ha detto al quotidiano giapponese Sankei Shimbun che migliaia di lavoratori erano detenuti scioperi nelle fabbriche di abbigliamento e negli impianti di lavorazione della pesca per salari non pagati.

Attenzione però perché secondo il sito NK News, Peter Jung, a capo del gruppo per i diritti della Corea del Nord Justice for North Korea, ha contestato l'indiscrezione delle proteste. Jung ha dichiarato che non si sarebbe verificato alcun incidente del genere.

In attesa di saperne di più, secondo il South China Morning Post la persistenza di Pyongyang nel voler finanziare il suo programma di armi mediante il lavoro di cittadini spediti all'estero potrebbe trasformarsi in una "bomba politica a orologeria".

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