Cronaca internazionale

Impeachment, shutdown, assalti e scandali: perché gli Usa sembrano governati dal caos

Impeachment, shutdown, scandali e violenza politica sembrano ormai dominare la scena politica americana. L'eccezione si sostituisce alle normali liturgie democratiche

Impeachment, shutdown, assalti e scandali: perché gli Usa sembrano governati dal caos

Impeachment e shutdown sono procedure aggravate, previste e ben disciplinate dalla legge degli Stati Uniti d'America. Mutatis mutandis, stessa cosa dicasi per cospirazioni e assalti, reati previsti dalla giustizia americana. Nessuna medicina costituzionale, invece, sembra essere in grado di proteggere il governo federale da scandali e trame. Eppure, se un tempo tutte queste eccezioni erano per l'appunto tali, ora si sono trasformate progressivamente in una nuova forma di liturgia politica. Risulta indubbio, infatti, che il funzionamento della macchina Usa sia ormai delegato a strumenti estremi di pressione e non più dalla consuetudine costituzionale.

Non solo impeachment: giustizia comune, scandali, danno di immagine

Una trasformazione epocale così di vasta portata che non può essere meramente legata alle baruffe tra Joe Biden e Donald Trump. O meglio, i due presidenti, che tutte queste eccezioni hanno vissuto e stanno vivendo, sono un chiaro sintomo di una trasformazione storica della presidenza, dei partiti, come del popolo americano. La prima grande trasformazione riguarda il carattere della Casa Bianca che, da piccolo ufficio simbolo dell'unità nazionale, è diventata una macchina da guerra. Presidenze interventiste come quelle di Eisenhower e Reagan hanno teso a ridurre l'elefantiasi di questa costruzione, ma in seguito amministrazioni come quella Johnson o Nixon ne hanno espanso gli apparati a dismisura, marcando il rischio di presidenze autoritarie. Così, quando il presidente tende a debordare dai suoi poteri tradizionali, i nemici al Congresso sono pronti a cavalcare lo strumento dell'impeachment.

nixon

Quest'ultimo, al di là di evidenze fattuali o meno, è divenuto uno strumento abituale, pronto ad essere invocato di fronte ad ogni scontro tra maggioranza e minoranza di fronte a un nodo cruciale, interno o esterno. Anche nel caso di Nixon, ad esempio, una delle ipotesi più accreditate vuole che l'impeachment fosse stato invocato per fermare un progetto di presidenza imperiale più che per la vicenda Watergate. Che questo sia divenuto uno strumento anche politico e non meramente giuridico, lo dimostra il fatto che tutti i casi, strombazzati dai nemici della Casa Bianca, ora rossi ora blu, si sono risolti in un nulla di fatto. Non solo, ma da Nixon in poi questo strumento è stato invocato/avviato a scadenze fisse, svuotando in parte la sacralità dell'istituto stesso.

Volendo allargare il discorso alla giustizia comune, anche questa sembra ormai aver abdicato, cedendo alla funzione politica nei confronti di presidenti e degli esponenti politici più in vista. Anche in questo caso, al di là della presenza o meno della pistola fumante, numerose inchieste sembrano scattare a comando in momenti piuttosto delicati per la democrazia americana, lasciando gli elettori basiti sulle inquietanti coincidenze di certi polveroni. Stessa cosa dicasi per scandali et similia: amanti, vizietti privati, pregressi discutibili sembrano funzionare meglio di qualsiasi forma di ostruzionismo parlamentare. Nell'era del consenso, ledono qualcosa di più profondo del valore politico: l'immagine.

Bill Clinton e Monica Lewinsky

Incertezze elettorali

Ciò che sembra essere venuto meno, al di là dei consueti strumenti legati all'anatra zoppa, ipotesi fisiologica, soprattutto nelle elezioni di metà mandato, è senza dubbio la certezza del risultato elettorale. Non solo perché spesso le elezioni vengono vinte sul filo del rasoio o di misura, ma anche perché il meccanismo barocco del Collegio Elettorale, sovente, premia candidati che non hanno la maggioranza dei voti popolari. Questo acuisce negli elettori la sensazione di essere frodati, di non contare nulla nel meccanismo dei grandi numeri.

capitol hill

Anche per questo, le recenti tornate elettorali hanno visto un susseguirsi di accuse di brogli e di frodi, aprendo contenziosi che si trascinano per settimane: ne sa qualcosa George W. Bush Jr. che si vide assegnare la presidenza dalla Corte Suprema, dopo settimane dalle elezioni, nel dicembre 2000. Vent'anni dopo esatti, non solo si sarebbe invocata la frode elettorale, ma i supporter di Donald Trump avrebbero fisicamente impedito la certificazione del passaggio di consegne a Joe Biden, nel famigerato assalto a Capitol Hill. Di quest'ultimo episodio colpisce la sua unicità, il suo aver rotto un tabù come la sacralità del Campidoglio americano, qualcosa che tutti eran pronti a credere impossibile e che invece potrà accadere ancora, aggravato dalla mescola tra rivendicazioni politiche, criminalità comune e complottismo. Va ricordato, infatti, che Jacob Anthony Angeli Chansley, aka Jack “lo sciamano”, era ed è un trumpiano convinto e seguace di QAnon. Strumenti e reazioni che mobilitano anche e soprattutto i forgotten men, che per condizione e background non possiedono gli strumenti per un accesso razionale alla cultura politica e che vivono l'abbandono delle istituzioni.

Il bilancio come strumento di potere

Oggi i presidenti degli Stati Unti sono figure potenti, in casa ma soprattutto all’estero, vista la posizione che Washington ha assunto nel mondo dalla Seconda Guerra Mondiale in poi. La firma di ogni trattato, ad esempio, richiede l’assenso del Senato con una maggioranza qualificata ma i presidenti, dopo la fine della guerra, adottarono la consuetudine di ricorrere agli executive agreements, stabiliti solo dall’esecutivo e che non richiedono l’approvazione del legislativo. Che strumento resta al Congresso? Fare uso del suo potere di bilancio: quando questo accade spesso, ne vien fuori un’immagine in cui la presidenza esce con le ossa rotte dallo scontro con le Camere. Ma testimonia anche un indebolimento del Congresso, costretto a usare la forza per farsi sentire: questa incapacità di esercitare una vera leadership si può retrodatare agli Sessanta, quando il Legislativo Congresso si rassegnò all’egemonia dell’Esecutivo.

Le evoluzioni dell’ultimo secolo hanno fatto sì che il potere di bilancio sia oggi delegato all’esecutivo o ad agenzie indipendenti che a Washington proliferano con ogni tipo di funzione. Per paradosso, ai giorni nostri, è il presidente a dover preparare un bilancio e presentarlo a Camera e Senato. Le camere, tuttavia, devono adottare una Budget Resolution che fissa i limiti di spesa e funziona da orientamento. Delega spesso attaccata come violazione della separazione dei poteri, come nel celebre dissenso del giudice Brandeis nella sentenza Myers vs United States del 1926. E quando l'accordo non c'è? Si invoca lo shutdown, trascinando la battaglia per il bilancio sull'orlo del baratro, con la presidenza che diventa ostaggio del Congresso, costretta a tagliare i suoi progetti.

Proprio come in questi giorni.

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