Cronaca internazionale

Jim Jordan ci ripensa: prosegue la corsa a speaker del Congresso Usa

Jim Jordan prima getta la spugna, poi ci ripensa: rischierà la terza votazione per l'elezione a speaker. Obiettivo n.1: rimettere in moto la Camera Usa il prima possibile

Jim Jordan ci ripensa: può ancora diventare speaker del Congresso Usa
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Uno speaker atteso come Godot. Una giornata al cardiopalma per la Camera Usa, ove la corsa per la carica di presidente regala colpi di scena di ora in ora. L'epopea della Camera Usa non sembra avere fine, ponendo l'intero Congresso americano sotto una cappa di ingovernabilità prolungata: un lusso che Washington, proprio in questo momento, non può permettersi.

Nonostante le richieste arrivate dai colleghi di partito a ritirarsi e i rumors dei media, Jim Jordan non si arrende: il candidato dalla maggioranza repubblicana alla carica di speaker della Camera ha deciso di riprovarci dopo le due precedenti bocciature dell'aula. "Io corro ancora per Speaker - ha annunciato ai giornalisti - e punto ad andare in aula e a prendere i voti che servono per vincere questa corsa". Nelle due precedenti votazioni Jordan ha ottenuto solo 200 voti, la prima volta, e 199, la seconda.

La precedente idea di appoggiare lo speaker ad interim

Di fronte a quella che appariva come una scontata nuova fumata nera, il candidato Jim Jordan dell'Ohio aveva oggi comunicato ai suoi colleghi repubblicani che avrebbe sospeso la sua candidatura, sostenendo la missione per aumentare i poteri dello speaker ad interim di Patrick T. McHenry, in modo da non bloccare ulteriormente l'attività della Camera. Questo non significava che il trumpiano di ferro avrebbe rinunciato alla sua corsa per ottenere la guida della Camera: Jordan sarebbe rimasto lo speaker nominato, mantenendo l'opzione di ripresentarsi in un altro momento per la votazione in aula. Un opzione coltivata nella speranza di riuscire a continuare a lavorare per ottenere i 217 voti repubblicani necessari per ottenere la nomina, superando l'opposizione dei 22 colleghi di partito che minacciavano di continuare a votargli contro anche nella terza votazione prevista per oggi. I leader della minoranza dem sostengono questa mossa, perché permette, con McHenry speaker a pieno titolo, anche se in modo temporaneo, di riattivare la Camera mentre si avvicina sempre di più la falce del 17 novembre, in cui si rischia di nuovo lo shutdown del governo.

Il dietrofront è arrivato dopo una furiosa reazione da parte della base repubblicana, inclusi molti suoi sostenitori di estrema destra, secondo cui dare più poteri a McHenry significherebbe cedere il controllo della Camera ai democratici e creare un brutto precedente. Jordan sembra essere vittima di una vera e propria ribellione dei repubblicani centristi dopo mesi di ricatti e manovre da parte dell'estrema destra anti-establishment, di cui il candidato speaker è testimonial, e che ha portato alla defenestrazione di McCarthy e poi al siluramento di Scalise. Ed ora, usando le stesse tattiche ostruzioniste usate dall'estrema destra, stanno bloccando la nomina di Jordan che, spiega Steve Womack dell'Arkansas, "è perfetto alla commissione Giustizia, ma non ha le capacità per essere uno speaker efficace che produce risultati". Uno speaker, aggiunge, che non deve essere solo "capace di aver avanzare le leggi che vogliamo noi" ma anche "lavorare con il partito d'opposizione, soprattutto al Senato".

Un clima avvelenato mina l'elezione dello speaker

Telefonate, insulti, messaggi minatori e persino minacce di morte stanno arrivando ai deputati repubblicani che si stanno opponendo all'elezione di Jordan alla carica di speaker.

La deputata dell'Iowa Mariannette Miller-Meeks ha denunciato di aver ricevuto "credibili minacce di morte e una serie di telefonate minatorie", dopo che alla seconda votazione non ha optato per l'esponente dell'estrema destra repubblicana, che invece aveva sostenuto al primo round. Anche il newyorkese Nick LaLota ha ricevuto un messaggio in cui veniva esortato ad "uccidersi e morire", mentre l'ufficio di Steve Womack è inondato di telefonate "piene di profanità".

Messaggi minatori anche alla moglie di uno dei deputati anti-Jordan, Don Bacon. Da parte sua Jordan, che ieri ha visto crescere il numero dei no alla sua nomina nella seconda votazione, ha condannato con forza questi attacchi da parte della base dell'estrema destra che vuole che il fedelissimo di Trump arrivi alla guida della Camera. "E' sbagliato e io non voglio che succeda a nessun americano, e nessun membro del Congresso - ha detto - nessun americano dovrebbe attaccare un altro per le sue idee: condanniamo tutte le minacce contro i nostri colleghi - conclude - ed è imperativo che troviamo l'unità". Il pensiero va a uno degli ex contendenti alla carica, Scalise, che fu vittima nel 2017 di un attentato da parte di un estremista sostenitore di Bernie Sanders, mentre giocava a baseball con alcuni colleghi di partito in un momento particolarmente teso fra Gop e democratici.

La corsa Scalise-Jordan per la nomina a speaker, tra colpi di scena e frenate

Dopo la corsa a due per la nomination del Gop, tra Jim Jordan e Steve Scalise, il secondo sembrava aver strappato la fiducia dei membri conservatori, dichiarandosi pronto alla conta dei voti. Il 13 ottobre scorso, un nuovo colpo di scena con il ritiro di Scalise una volta apparso evidente che non avrebbe mai ottenuto i 217 voti necessari per l'elezione in aula. La mossa aveva rimesso in corsa Jordan, il trumpiano presidente della commissione Giustizia che era stato sconfitto 113 contro 99. Contro di lui è sceso in campo in extremis Austin Scott, deputato della Georgia che il 5 gennaio 2021 aveva firmato una lettera in cui si affermava che il Congresso non poteva e doveva opporsi al risultato dei collegi elettorali, come invece chiedeva di fare Donald Trump.

Una posizione opposta a Jordan che il 6 gennaio votò contro la ratifica della vittoria di Joe Biden. Una strada che da subito si era mostrata in salita, dal momento che superare il clima al vetriolo nel partito dopo la defenestrazione di Kevin McCarthy era quasi impossibile. Dopo l'uscita di scena di Scalise, l'ex speaker aveva puntato il dito contro questa fronda: "come è possibile che il 4% della conferenza del partito faccia questo all'intero Paese?". Intanto, la votazione è slittata continuamente, a causa di numerose assenze "sospette".

Assenze che qualcuno ha sospettato potessero essere una mossa per far slittare il voto a questa settimana e dare a Jordan più tempo per cercare di guadagnare consensi.

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