Cronaca nera

Cinque ore di intervento e cento trasfusioni. "Così abbiamo salvato il poliziotto Christian Di Martino"

Il vice ispettore di polizia Christian Di Martino è uscito dalla terapia intensiva. Il racconto dei medici dell'ospedale Niguarda che gli hanno salvato la vita: "Lesioni ad alto rischio di mortalità, abbiamo temuto il peggio"

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Ci sono volute oltre cinque ore di intervento e ben 100 trasfusioni per salvare la vita a Christian Di Martino, il poliziotto accoltellato alla stazione di Milano Lambrate da un marocchino irregolare lo scorso giovedì mattina. Arrivato in condizioni disperate all'ospedale Niguarda, il 37enne è stato operato d'urgenza. "È stato un intervento concitato, eseguito in regime di emergenza a causa della gravità delle lesioni riportate", raccontano all'Adnkronos il direttore del Dipartimento di Emergenza e del reparto di Terapia intensiva Roberto Fumagalli e la responsabile della Chirurgia generale - Trauma team Stefania Cimbanassi. L'agente, le cui condizioni sono in progressivo miglioramento, è uscito dalla Terapia Intensiva.

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Le trasfusioni

L'operazione è stata eseguita a margine di una donazione straordinaria di sangue da parte delle forze dell'ordine, promossa dalla Questura in segno di riconoscimento per le cure al collega ricoverato nel nosocomio milanese. "Sono state utilizzate circa 50 trasfusioni di sangue, una quarantina di plasma più altre e una decina di altri emoderivati", racconta Fumagalli. Una quantità molto importante "per un intervento molto grosso", precisa l'intensivista. Decisivo è stato l'aiuto del Centro trasfusionale "che ci ha supportato in questo, siamo riusciti a superare la fase acuta e arrivare alla giornata di oggi", con il trasferimento del paziente dalla Terapia intensiva al Trauma team.

"Lesioni ad alto rischio di mortalità"

Il poliziotto ha riportato lesioni molto gravi, potenzialmente mortali. "Christian ha sofferto di lesioni che sono gravate normalmente da un elevato rischio di mortalità", spiega Cimbanassi, che ha operato il 37enne. In più di un momento i medici hanno temuto il peggio. La paura c'è stata "sia in fase intra-operatoria sia nell'immediato prosieguo, perché è stato un intervento complesso su lesioni estremamente gravi, anche con rischi legati alla trasfusione massiva effettuata", conferma la specialista. Nell'immediato post-operatorio, una volta che il paziente è approdato in Terapia intensiva "la situazione si è stabilizzata e quindi con cauto ottimismo abbiamo incominciato a ben sperare. E l'evidenza ci ha dato ragione".

L'intervento, necessario per arginare la copiosa emorragia, è durato più di 5 ore. "La parte più difficile - conclude Cimbanassi -è stata la correzione della lesione alla vena cava, che era la più a rischio per la sopravvivenza immediata del paziente".

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