Cronaca nera

"Jessica Faoro e gli altri figli di nessuno". A teatro lo spettacolo in ricordo della 19enne uccisa

Jessica Valentina Faoro era una 19enne uccisa da Alessandro Garlaschi, il tranviere che la ospitava. La sua storia è diventata un monologo, scritto dalla poetessa Mara Venuto, che andrà in scena a Milano il 13 maggio

"Jessica Faoro e gli altri figli di nessuno". A teatro lo spettacolo in ricordo della 19enne uccisa

Un caso di femminicidio. E di overkilling. Ma soprattutto la storia di una giovane donna che non voleva essere una vittima. La giovane donna si chiamava Jessica Valentina Faoro, aveva 19 anni quando, il 7 febbraio 2018, fu massacrata con 85 coltellate da Alessandro Garlaschi, oggi condannato all’ergastolo. Lui era un tranviere che le aveva dato ospitalità “alla pari”: Garlaschi faceva infatti stare in casa sua, in cambio di qualche lavoretto domestico, Faoro, che in quel momento non aveva fissa dimora e non poteva essere accolta in un rifugio perché aveva con sé un cane, il suo adorato Zen.

La storia di Jessica Faoro è in un monologo, “N.N.”, scritto dalla poetessa e autrice nell’ambito del teatro civile Mara Venuto. Il monologo, così come fortemente voluto dal direttore artistico Milton Fernandez, andrà in scena il 13 maggio alle 18.30 al Centro Culturale Asteria di Milano, nell’ambito del Festival Internazionale della Letteratura di Milano. L’attrice Sarah Macchi “presterà” la voce e il volto a Jessica Valentina Faoro. “Era una ragazza pulita, finita nelle mani di un assassino”, spiega Venuto a IlGiornale.it.

Venuto, perché ha deciso di scrivere un monologo sull’omicidio di Jessica Valentina Faoro?

“Oltre che dalle circostanze, sono stata colpita da due aspetti: in primis la giovane età della vittima. Jessica era una ragazza abbandonata a se stessa, non solo prima di essere uccisa, ma anche nell’anno precedente, ossia da quando era uscita da una comunità. Da allora aveva provato a provvedere a se stessa, senza aiuti da parte dello Stato e senza una famiglia alle spalle, con una serie di difficoltà facilmente immaginabili, perché non aveva un tetto sulla testa o denaro. Svolgeva piccoli lavoretti e aveva vissuto anche per strada”.

E poi?

“L’altro aspetto è l’assassino, un uomo che aveva 20 anni più di lei e ne aveva intuito la situazione di disagio, ma, lungi dal provare un istinto di protezione, dal primo momento ha cercato di approfittarne sessualmente. Lei avrebbe subito da lui molestie fin dall’inizio, ma nella sua ingenuità pensava di poter gestire un uomo che le era apparso buono, secondo quanto raccontato alle amiche. Si era interessato ai suoi problemi, diceva di volerle trovare un lavoro, le aveva comprato le lenti a contatto. Jessica non era abituata a ricevere gentilezze”.

Chi era, per lei, Jessica Valentina Faoro?

“Una ragazza che si dava da fare per essere indipendente, una ragazza pulita nonostante la condizione di disagio che viveva, che cercava di andare avanti, ma è finita nelle mani di un assassino”.

Da dove viene il titolo “NN”?

“In passato era la sigla che veniva apposta all’ufficio anagrafe sui certificati di nascita dei ‘figli di nessuno’, ovvero i bambini che non avevano genitori. Jessica i genitori li aveva, ma la mamma era alle prese con dei problemi di salute e Jessica non si rivolgeva neppure al padre. Lui mi ha molto aiutato nella stesura del monologo: è una persona schiacciata dal senso di colpa per non essere riuscito ad aiutare la figlia, per cui si impegna per la sua memoria e in attività di sensibilizzazione sulla violenza di genere”.

Quindi in che senso era figlia di nessuno?

“Jessica era figlia di nessuno in senso sociale: ci sono ragazzi in difficoltà che fino alla maggiore età sono posti sotto la tutela dello Stato, ma poi vengono lasciati a loro stessi, privi di supporto e protezione. Se ne parla troppo poco, ma è un problema sociale: ogni anno sono 20-30mila questi giovani e beneficiano solo di forme minime di tutela e soltanto in determinate condizioni. Jessica è il simbolo di questi ragazzi, nel monologo non parlo solo di femminicidio”.

Cosa pensa si potrebbe fare per i giovani come Jessica Valentina Faoro, giovani che vivono una situazione difficile?

“Credo sia utile che il legislatore si ponga il problema, rivedendo la normativa e prevedendo percorsi di accompagnamento, attraverso formule legislative che consentano di prolungare l’assistenza, magari in un’ottica di avviamento al lavoro. Qualcosa c’è ma è tutto affidato al terzo settore”.

Sono state 58 le vittime di femminicidio nel 2022. Nei primi 3 mesi del 2023 sono state 10. È importante continuare a raccontare le loro storie?

“Si. Noi sappiamo che la maggior parte dei femminicidi avviene in ambiente famigliare, la storia di Jessica è un po’ diversa, perché era in casa di un estraneo. Però credo sia uno strumento utile continuare a parlarne, a sollecitare, anche attraverso il teatro, che è un mezzo che stimola l’empatia. Penso soprattutto sensibilizzazione nelle scuole, ma anche al fatto che potrebbe combattere l’assuefazione al fenomeno: il femminicidio visto come bollettino di guerra, fenomeno spersonalizzante. Dobbiamo raccontare chi erano queste donne, le loro vite, come si sono trovate in determinate situazioni”.

La sensibilizzazione può essere una strada per un cambiamento culturale rispetto alla violenza di genere?

“Io credo di sì, ma vale per tutte le battaglie civili, sociali, ambientali. Quando un argomento diventa riflessione quotidiana, sedimenta e può produrre dei frutti. Ignorare le questioni o non meditarle o discuterle, temo non possa produrre cambiamento o soluzioni. Tuttavia parlarne solo non basta, occorrono azioni concrete”.

Nel 1966 Primo Levi scrisse La bella addormentata nel frigo, opera teatrale che preconizzava l’oggettificazione istituzionalizzata delle donne nel 2115. In questi primi decenni del XXI secolo il femminicidio è all’ordine del giorno. Come immagina il futuro?

“Come autrice mi sono interrogata spesso su questo. Mi perdoni il pessimismo ma credo che in futuro è possibile che le donne passeranno dall’altra parte e uccideranno gli uomini per legittima difesa, per sopravvivere. Sempre meno donne vorranno restare nella condizione della vittima e iniziamo a vederlo con alcuni casi di cronaca dell’ultimo anno. Sembra quasi che sempre più donne abbiano la percezione di non poter consegnare ad altri la loro sicurezza.

Mi auguro però che la mia sia distopia”.

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