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Calcio a(var)iato

Vedrete che con il Var finalmente tutto sarà chiaro, regolare, umano

Calcio a(var)iato

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Vedrete che con il Var finalmente tutto sarà chiaro, regolare, umano. Ricordo la propaganda di regime. Provate, oggi, a fare un giro negli stadi o nei pub d'Inghilterra, provate a nominare l'acronimo, rischierete il ricovero. Il Sunday Times è andato giù sciolto con titolo fair play: «Questa farsa chiamata Var deve andarsene», nella terra del calcio puro e duro, la svolta tecnologica ha creato sbandamenti e proteste feroci di tutte le parti, allenatori, calciatori, dirigenti, pubblico, fatta eccezione, elementare Watson, per gli abitanti della casta, gli arbitri, che, con l'introduzione delle nuove regole, supportate dal video, hanno scoperto il sottile piacere del potere.

In Italia non si sta meglio. Ieri, gli ultimi istanti di Lecce-Milan, hanno ribadito come e quanto la decisione del gruppuscolo degli arbitri, quattro in campo e altrettanti nella postazione di Lissone dinanzi ai monitor, possa determinare lo sviluppo e il risultato di una partita. Falli di mano, contatti di gioco, lo storico repertorio di qualunque incontro di football è stato trasformato in una autopsia, i medici legali, con il fischietto in bocca, assumono posture da primari (godono però di parcelle superiori), parlano a gesti, disegnano nell'aria la forma del video, puntano l'indice verso il rigore o il centrocampo, nulla si sa del consulto, trascorso il tempo per la bonifica, vengono messe in chiaro le parole dei dialoghi e la compagnia teatrale raggiunge l'apice della farsa, utilizzando termini inglesi ma facendo fatica con la lingua madre.

Il calcio è bello perché è vario, anzi a-Var-iato.

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