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Meriti di ieri e di oggi

Non mi sarei mai cimentato a descrivere il ruolo di Silvio Berlusconi se non fossi stato preceduto in questi giorni, in ragione della malattia che lo ha colpito, da una lunga fila di commentatori.

Meriti di ieri e di oggi

Non mi sarei mai cimentato a descrivere il ruolo di Silvio Berlusconi se non fossi stato preceduto in questi giorni, in ragione della malattia che lo ha colpito, da una lunga fila di commentatori. Giudizi positivi, negativi e agrodolci. Penso che i bilanci siano da rinviare in sede storica, spogliandoli dell'ideologia e della faziosità visto che il Cav ha ancora un ruolo fondamentale in politica. È chiaro, però, che se molti azzardano mi viene la voglia di dire la mia per rimarcare, soprattutto, alcuni meriti che si possono ascrivere a Berlusconi ieri e oggi.

Quello di ieri riguarda la decisione di scendere in campo nel '94 e di aver vinto le elezioni in un particolare momento. Sembra la solita tiritera ma ancora non è chiara, colpa della polemica di parte tipica del Belpaese, l'importanza di quella scelta. In quell'occasione Berlusconi evitò una contraddizione di non poco conto: e cioè che gli sconfitti dalla Storia, cioè i post-comunisti (il Muro era caduto appena 5 anni prima), andassero al governo in Italia. E ci arrivassero in assenza di avversari, visto che la magistratura amica con Tangentopoli aveva spianato loro la strada. In quell'occasione non era in ballo una vittoria elettorale, ma l'avvento di un regime. C'è un'efficacissima rappresentanzione scritta da Don Baget Bozzo di quella particolare fase: «Vivevano tra noi tutti gli aspetti di un regime del terrore, giacobino o stalinista operato da due soli poteri: le procure della Repubblica e i quotidiani. Mai si era visto che bene prezioso fosse la libertà e come essa potesse essere perduta come d'incanto senza che nessuno avesse mai scelto di perderlo». E, invece, per quella strana provvidenza che caratterizza alcuni tornanti della Storia (vedi le elezioni del 1948), scese in campo il Cav. E paradossalmente, di quell'atto di coraggio dovrebbero essergli grati a posteriori anche i suoi avversari. I post-comunisti di allora, infatti, erano più comunisti che «post», tant'è che negli anni successivi hanno cambiato più volte il nome: se avesse vinto Achille Occhetto, probabilmente non avremmo avuto neppure Prodi, l'Ulivo e, nei fatti, una diluizione dell'ideologia post-comunista sull'altro versante del bipolarismo. Si sarebbe imposto probabilmente solo un soggetto politico del vecchio Pci.

Ora, tutti possono far risaltare luci o inventarsi ombre, ma si tratta di un dato di fatto che dopo trent'anni si può definire storico. Come dopo trent'anni si può osservare quanto il Cav continui ad avere un ruolo di rilievo nel presente, in un passaggio della politica italiana caratterizzato da una sorta di bipolarismo delle estreme: da una parte Giorgia Meloni, dall'altra la sinistra radicale di Elly Schlein (la nuova segreteria del Pd ne è la fotografia). È il portatore di un ruolo di «moderazione» che gli deriva dalla sua biografia e dal suo elettorato di riferimento che continua ad essere essenziale, se i numeri non sono un'opinione, per la vittoria del destra-centro. Una funzione che manterrà sia se la coalizione darà vita ad un partito unico, cioè se nascerà un Partito Repubblicano sul modello americano; sia se continuerà a conservare le sembianze di una coalizione.

E il motivo è semplice: certi ruoli non si inventano a tavolino, ma si conquistano nel tempo, sono il risultato di scelte coraggiose, magari dolorose, sicuramente responsabili.

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