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Rai schiava dei partiti? Privatizziamola

Ci risiamo. Menzogna e malafede sono tornate a farla da padrone nel dibattito sulla Rai

Rai schiava dei partiti? Privatizziamola

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Ci risiamo. Menzogna e malafede sono tornate a farla da padrone nel dibattito sulla Rai. Bavaglio, l'ora del silenzio, censura, interferenze, stop alla libertà di parola e tanto altro ancora leggiamo sui giornali-megafono della sinistra, ormai solo capace di alzare polveroni su casi inesistenti ma che cade miseramente quando si tratta di argomentare sulla gestione del bene pubbblico. Ora nel mirino c'è la Rai, nuovo Belzebù al servizio delle destre che con ferocia sta uccidendo la libertà di parola nel nostro Paese, quando in realtà mai come oggi i campioni della sinistra si sono potuti esibire con tanta ampiezza di espressione. E non sarà certo la leggerezza di un qualche servo sciocco a snaturare l'essenza della Rai, da settant'anni gestita sempre allo stesso modo - siano le destre, il centro o le sinistre a guidare il Paese - dai 17 Parlamenti che si sono succeduti in quell'arco di tempo. Né è concepibile che la Tv di Stato sia buona solo quando le assunzioni e le nomine alla guida dei tg nascono a sinistra, una pretesa francamente inaccettabile. E dunque, se il problema è l'impossibilità di una conduzione che risponda alle aspirazioni dell'intero arco parlamentare, secondo alcuni per liberarsene basterebbe vendere, privatizzare: solo così si avrebbe la garanzia di una gestione non sfacciatamente dipendente dalla politica.

Giusta la provocazione, ma è la strada giusta? Il dubbio è più che legittimo di fronte al dilemma se per garantire il pluralismo dell'informazione ci voglia lo Stato o sia meglio la concorrenza. Un dilemma che dagli anni '80 del secolo scorso, con l'avvento della tv commerciale e la fine del monopolio di Stato, suscita un dibattito che vede a confronto posizioni apparentemente molto polarizzate, ma che per ogni stesso interlocutore sono in realtà discordanti, altalenanti e poco coerenti se confrontate nel tempo. Tutto dipende dal ruolo che in quel momento il politico di turno riveste: chi è al governo difficilmente vede con favore la totale o parziale privatizzazione della Rai.

Dieci anni fa l'allora direttore generale della Rai Luigi Gubitosi, per non dover dipendere dal canone portò avanti un tentativo di quotazione del gruppo televisivo, facendolo precedere da una emissione di bond per 350 milioni che avrebbe aperto alla società il mercato dei capitali ottenendo addirittura un rating incoraggiante. Ci fu chi fece saltare qualche tappo immaginando la caduta di un muro, ma l'illusione non durò: costoro non avevano fatto i conti con il cambio di governo. Di lì a breve, mentre con l'uscita di scena di Gubitosi il progetto si inabissò velocemente, Matteo Renzi varò una legge che allargava all'esecutivo - fino a quel momento solo il Parlamento aveva diritto di parola sulle nomine dell'azienda - il potere d'intervento sulle candidature dei vertici. Una decisione che fatalmente ha peggiorato la situazione, rendendo più pregnante l'intervento della politica e più famelici i rentier che da sempre battono i lunghi corridoi di Palazzo Chigi.

Il fatto che quel progetto sia fallito, non esclude che un governo lungimirante possa riprovarci, magari proponendo al mercato una privatizzazione parziale puntando sul modello dell'azionariato diffuso. Ciò, da una parte consentirebbe di ridurre gli oneri per le casse pubbliche in caso di gestioni che chiudono in rosso; dall'altra si avrebbe sicuramente una maggiore efficienza nella gestione manageriale. Oltre a frenare, o quantomeno ad attenuare, l'invadenza della politica così da allontanare facili sospetti di eterodirezioni. Sarebbe una bella prova da parte del governo Meloni.

E chissà quali suggestioni riuscirebbero a inventarsi questi saprofiti della libertà di parola.

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