Coronavirus

Le responsabilità di chi comunica

Parlare di ciò che si sa e tacere di ciò che non si sa

Le responsabilità di chi comunica

Parlare di ciò che si sa e tacere di ciò che non si sa. È una verità semplice che la saggezza lombarda traduce con il suo dialetto: «Ofelè fa el to mestè». Eppure sembra una difficoltà insormontabile rispettare tanta elementare evidenza. La pandemia ha trasformato la comunicazione in un affare economico a spese di chi ascolta e guarda che vorrebbe solo essere informato su come proteggersi da una tragedia. La lite televisiva rende, alza gli ascolti, e autori e conduttori della trasmissione sono felici se il litigio, da loro proposto, batte quello della concorrenza.

Ora, se io litigo con uno chef stellato sulla corretta interpretazione dell'Estetica di Hegel, non facciamo male a nessuno. Semmai mi chiedo perché lo chef debba discutere con me di Hegel: ha tante ottime competenze, mi lasci in pace sulla filosofia estetica che ho studiato tutta una vita. Sul Covid accade una simile invasione di campo: tutti ne parlano da sapienti, tutti sanno dei vaccini, del green pass, di come ci si contagia, di come si guarisce. Sembra - e questo è il più grande errore dei media - che la democrazia sia in pericolo se non si ascoltano anche le idiozie di chi non sa niente di medicina, di virus, di vaccini. Il pericolo è invece il disorientamento che patisce la gente, in ansia perché non sa più a chi dare ascolto.

Questa pandemia virale è diventata una pandemia della comunicazione, che ormai è fuori controllo. E qui ci sono responsabilità enormi, in primis dei medici, che non vanno in televisione per esprimere con calma le loro conoscenze, ma vanno felici e presuntuosi a discutere per narcisismo. Senza però rispondere a tono ai professionisti del dibattito televisivo, il cui segreto è dire tutto e il contrario di tutto con chiunque. Dando vita così a un litigio infinito, che ci frastorna e mina le nostre sicurezze.

Una volta si diceva: lo ha detto la televisione. Ed era l'autorità alla portata di tutti, senza pretese, ma senza inganni. Oggi, proprio perché l'ha detto la televisione, è meglio non crederci.

Per questo i giornali, che non inseguono lo share, possono prendersi la rivincita, ponderando le notizie senza fare da cassa di risonanza a certe fake news, e senza comunque rinunciare al confronto delle idee. Solo così non si trasforma una tragedia in una commedia televisiva.

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