Afghanistan in fiamme

Il nostro console ragazzino è l'angelo dei bambini di Kabul

Grazie Tommaso. Sotto c'è l'inferno di braccia che chiamano disperate. Corpi di afghani che si accalcano e si ammassano addosso a quel muro che li separa dai voli che partono per l'Occidente

Il nostro console ragazzino è l'angelo dei bambini di Kabul

Grazie Tommaso. Sotto c'è l'inferno di braccia che chiamano disperate. Corpi di afghani che si accalcano e si ammassano addosso a quel muro che li separa dai voli che partono per l'Occidente. Basta così poco per passarlo, la vita è di là, dall'altra parte: un ultimo passo ancora ma è il più difficile. Vogliono tutti fare presto, c'è fretta, ressa. Calca che ti schiaccia. I talebani potrebbero agire da un momento all'altro. Tommaso Claudi, console italiano a Kabul, è lì sopra a quel muro che divide come uno spartiacque i due mondi. Sotto nella folla c'è anche un uomo con un bambino alzato come un trofeo che piange per la paura. Viene da piangere a tutti, anche ai grandi, lui avrà sì e no otto anni. Tommaso lo vede e si inginocchia, giubbotto antiproiettile ed elmetto a tracolla. Prende in braccio il bambino e se lo tiene stretto. Lo salva, lo consola. Il peggio è passato. Una foto ferma la scena. L'immagine è potente: è il riscatto di un Occidente che abbiamo perso di vista il giorno in cui Kabul si è accartocciata nelle mani dei talebani, quando i governi hanno girato le spalle al popolo afghano dopo averli illusi per vent'anni parlando loro di democrazia e di civiltà. «Grazie Tommaso» scrive in un tweet il segretario generale della Farnesina, Ettore Sequi, condividendo le immagini che rimbalzano in rete. Commozione e orgoglio. Evviva gli eroi che allungano braccia per salvare vite. Il console compirà 31 anni il prossimo 30 agosto, e sono giorni che è impegnato nelle operazioni di evacuazione di concittadini e afghani dal Paese tornato in mano ai talebani.

«Continueremo a lavorare senza sosta per continuare le operazioni di evacuazione e per assistere i connazionali che lo richiedano», aveva assicurato pochi giorni fa Claudi, in un'intervista al Corriere della Sera. «La principale difficoltà consiste nel far accedere i connazionali e i nostri collaboratori afghani ai cancelli dell'aeroporto, dove si accalca la folla che vuole entrare», aveva aggiunto, sottolineando che «in una situazione confusa, è richiesta una impegnativa attività di costante monitoraggio, negoziato e raccordo anche con i colleghi di altri Paesi». Una situazione difficile alla quale Claudi, originario di Camerino in provincia di Macerata, non si sottrae: «Sono un diplomatico che rappresenta l'Italia in un contesto complesso e in costante evoluzione, che opera nel quadro di una missione istituzionale del mio Paese. Rimarrò quindi tutto il tempo necessario, finché ce ne sarà bisogno» aveva detto. Poteva andarsene ma non lo ha fatto. La sua missione lo tiene inchiodato lì. «Mostra tutto il suo senso dello Stato e del dovere e il fatto che sia figlio della nostra città per noi è motivo di grande orgoglio», aveva sottolineato il sindaco di Camerino, Sandro Sborgia.

Un orgoglio condiviso oggi da tutti gli italiani.

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