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Ultima follia: una ciclabile sul Ponte sullo Stretto

Riaprire il dibattito intorno al ponte sullo Stretto con un tweet psichedelico.

Ultima follia: una ciclabile sul Ponte sullo Stretto

Riaprire il dibattito intorno al ponte sullo Stretto con un tweet psichedelico. È l'ultima impresa del governo, affidata a un annuncio del ministro per le Infrastrutture Paola De Micheli: «Abbiamo istituito una commissione per capire qual è lo strumento migliore per collegare la Sicilia alla Calabria. Per collegarle su ferro, su strada e con una pista ciclabile». È quest'ultima parte della frase ad accendere la Rete. Quattromila commenti in poche ore, quasi tutti sarcastici. Chi suggerisce di dividere le acque, chi di provare con una catapulta e infine pure chi esorta: «Toninelli, esci da questo corpo».

L'idea di un nuovo studio che valuti la pista ciclabile come alternativa a treni o auto è paradossale. Ma la vera rivelazione sta nella prima parte: l'istituzione di una commissione. È noto fin dalla prima Repubblica che istituire una commissione sia il modo migliore per insabbiare un argomento scomodo e avviarlo al dimenticatoio. Ma il governo Conte ha elevato questo stratagemma a prassi.

Tema scottante? Si demanda a una commissione, i cui risultati saranno poi scientificamente ignorati. Il Conte I si era esercitato con la task force per la valutazione rischi-benefici della Tav, lungamente discussa e poi accantonata per decidere in senso opposto. Il Conte II si è letteralmente ubriacato di task force. E come un ubriaco, dopo averle consumate le ha tutte dimenticate. Il caso più clamoroso è quella per la ripartenza dopo il lockdown, affidata al top manager Vittorio Colao, il cui piano è finito in chissà quale cassetto mentre Conte, non contento, raddoppiava con la passerella degli Stati generali, che avrebbero dovuto produrre un documento per sfruttare i fondi europei che nessuno ha mai visto.

Stesso destino che rischiava di correre il prodotto della fatica della task force per la riapertura delle scuole, istituita presso il ministero dell'Istruzione. Diciotto componenti al lavoro per tre mesi e un rapporto completo consegnato a metà luglio e rimasto totalmente ignorato, al punto che il responsabile, Patrizio Bianchi, si è sfogato con Il Foglio: «Ma che cosa abbiamo lavorato a fare?».

Negli stessi giorni, del resto, veniva istituita una task force per garantire la liquidità alle aziende presso il ministero per l'Economia. E infatti la mancanza di liquidità per le aziende è diventata il primo problema. Anche per partorire l'app di tracciamento dei contagi del resto si era messa insieme una numerosa task force di esperti, oltre settanta, alcuni dei quali hanno poi raccontato di non essere praticamente mai stati consultati, mentre emergeva con chiarezza che la scelta sull'app Immuni era stata totalmente guidata dal ministero per l'Innovazione. Lo stesso Cts, il comitato tecnico scientifico che consigliava il governo sul Covid, ha prodotto oltre cento pareri ma, quando i primi sono stati pubblicati (obtorto collo), si è scoperto che il governo non ne aveva seguito i consigli sulla gestione delle zone rosse nella Bergamasca.

Tutto legittimo, ma allora perché questa bulimia di commissioni e task force? Perché lottare per tagliare 345 parlamentari e intanto nominare 1.400 consulenti nelle task force? Non per vocazione tecnocratica, visto che poi non vengono ascoltati. Ce lo svela il tweet sul Ponte: ci sarebbero trent'anni di studi già pronti, come il centrodestra ieri ha ricordato al governo.

La commissione serve a prendere tempo e decidere senza trasparenza e responsabilità, usando i tecnici come paravento. Una strategia ad alto rischio se a usarla è il governo che deve presentare i piani per il Recovery fund.

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