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Gli dèi del focolare che ci accompagnano nell'ultimo viaggio

Dagli antichi Egizi a Burroughs, dai poeti ai politici: nessuno resiste al loro fascino sovrannaturale

Gli dèi del focolare che ci accompagnano nell'ultimo viaggio

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Nel mondo egizio gli animali erano «nether», le essenze degli dei e l'immagine attraverso le quali le divinità apparivano agli uomini, comunicando con loro. Horus, il dio civilizzatore, era il falco; l'ibis Thot era signore della scrittura, della medicina e dell'architettura. Anubi, lo sciacallo, pesava e giudicava le anime dei morti. Bastet, la gatta sanguinaria, si occupava della guerra.

Ecco, le gatte e i gatti. Animali misteriosi per definizione: domestici ma non addomesticabili, sembrano seguire presenze invisibili a noi umani. I gatti hanno suscitato l'attenzione degli artisti. Fra i tanti, erano gattari Charles Baudelaire, Doris Lessing, Charles Bukowski, T.S. Eliot. Il consiglio di Ernest Hemingway agli aspiranti scrittori era: «Tenete vicino a voi un gatto» (e un paio di bottiglie di gin). Il gatto forse più famoso della storia della letteratura, certamente il più simpatico, è Bébert, protagonista di pagine indimenticabili di Céline, che si sarebbe fatto fucilare per il suo felino prediletto. Nella storia dell'arte c'è un problema di abbondanza, dai quadri di Jacopo da Bassano a quelli di Paul Klee. E i filosofi? Hippolyte Taine chiuse così la faccenda: «Nella mia vita ho studiato tantissimi filosofi e tantissimi gatti, i gatti sono assolutamente superiori». Maometto tagliò una larga manica del proprio mantello per non turbare il sonno del gatto che vi si era acciambellato sopra. Caterina de' Medici, Richelieu, Chateaubriand, Winston Churchill, Abraham Lincoln, Theodore Roosevelt, Bill Clinton: tutti gattolici praticanti. Forse i politici sono incantati dalla sublime indifferenza dei gatti, che non intendono essere disturbati neppure in caso di guerra nucleare. Sono aneddoti. Però rendono conto del fascino eterno del gatto. Nei loro occhi sembra brillare qualcosa di ineffabile: un segreto, anzi, i segreti, della vita e della morte.

La regista Elisabetta Sgarbi ha realizzato un film intitolato Gatto e la casa dei fantasmi, con testo e disegni di Edward Carey. La storia è semplice e misteriosa. Durante la pandemia, una donna, che potrebbe assomigliare a Elisabetta stessa, si trova ad abitare nella casa di famiglia ormai deserta. C'è una presenza, però, che lentamente si impone come fondamentale. È un gatto bianco e nero. Il felino entra ed esce dalla casa, come se la conoscesse. Il suo cammino e le sue corse disegnano itinerari che collegano un piano all'altro. Infine, tutto diventa chiaro: il gatto è il vero padrone di casa e parla con le anime dei genitori della donna; anime che ancora non sono pronte per incominciare il viaggio nell'aldilà. Il gatto sogna in Super 8 ovvero ricorda, grazie ai filmini trovati in casa, gli avvenimenti semplici di una famiglia felice. Ventinove minuti di delicatezza, unica voce quella bellissima di Tony Laudadio che interpreta il testo di Carey.

Il gatto in noi (1994) è una toccante biografia attraverso i propri gatti. Uno dei rarissimi momenti di tenerezza nell'opera di William Burroughs. Secondo Burroughs, il gatto non ha mai avuto funzioni pratiche come cacciare i topi nel granaio. Gli piace farcelo pensare. In realtà, il gatto è un «compagno psichico», un piccolo dio del focolare. Gli «spiritelli domestici» di uno scrittore sono i ricordi, le storie, i personaggi. I gatti riflettono i nostri pensieri e i nostri fantasmi. Spiega Burroughs: un gatto può assumere la parte di «mia madre, mia moglie Joan, mio figlio Billy, mio padre, Kiki e altri amici, e Denton Welch, che mi ha influenzato più di ogni altro scrittore, anche se non ci siamo mai conosciuti». I gatti sono l'ultimo legame con un mondo che muore, il nostro. Noi stessi. Le strade che abbiamo battuto. I compagni di viaggio che abbiamo scelto o ci siamo trovati in famiglia. Le storie che abbiamo vissuto e quelle che abbiamo inventato. I luoghi che abbiamo visitato e quelli che abbiamo sognato. Tutto precipita verso il nero della morte. Tutto, forse, andrà perduto. Per questo, il vecchio Burroughs, quando accarezza un gatto, sente il volto rigarsi di lacrime. Toccare significa condividere il dolore, la paura, l'inevitabile solitudine di fronte alla fine.

Un'ultima carezza, per riconciliarsi forse con il passato, prima di morire.

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