Controcultura

Un dopoguerra pieno di nemici

Philip Kerr (Edimburgo, 22 febbraio 1956 - 23 marzo 2018) ha scritto fra l’altro ben 14 romanzi con al centro il personaggio di Bernhard Gunther, ex agente della polizia criminale durante il nazismo. "L’uno e l’altro" è il quarto della serie.

Un dopoguerra pieno di nemici

«Il lavoro di un detective è un po' come entrare in un cinema quando il film è già cominciato. Non si sa cos'è accaduto prima e, mentre cerchi di trovare la strada nel buio, è inevitabile che pesti un piede a qualcuno o che gli tagli la strada». Sembra il momento saliente di un trattato di scrittura noir e, in un certo senso, lo è. Perché Philip Kerr, pubblicitario passato al poliziesco dopo essersi reso conto di disporre di un talento non comune, è stato un vero maestro del genere hard-boiled. Ogni volta che il suo antieroe Bernie Gunther - ex-poliziotto cacciato dalla Kripo per le scarse simpatie verso il regime nazista - parla, le sue esternazioni ricordano i toni cinici e sarcastici di Philip Marlowe. E spesso a incrociare i suoi pericolosi percorsi professionali è la femme fatale di turno. Solo che a fare da cornice alle disavventure di Gunther non è la Los Angeles degli anni d'oro di Hollywood, bensì la Germania nazista, inizialmente nel periodo di massima autocelebrazione, poco prima della guerra, poi in quello desolante dell'occupazione americana e russa, tra le macerie fumanti di un Paese allo stremo fisico e morale.

Scozzese, morto nel 2018 a 51 anni, Kerr si è fatto conoscere con il romanzo Violette di marzo, il primo della cosiddetta «trilogia berlinese». In L'uno dall'altro (Fazi, traduzione di Luca Merlini), Gunther gestisce un fallimentare albergo nell'improbabile località dove sorgeva il campo di concentramento di Dachau e viene accostato da una donna che gli chiede di indagare sulla scomparsa del marito, in passato vicedirettore di un famigerato lager, per assicurarsi che sia morto, visto che intende risposarsi con rito cattolico. Il rischio per Gunther è ripiombare nel suo inferno personale e nel dramma del suo Paese.

Ci sono autori che hanno la capacità di staccarsi dalla massa, di avere una voce propria, inconfondibile, in grado di palesarsi fin dall'incipit delle storie che scrivono. Kerr appartiene a tale categoria. Rimarchevole è la sua abilità nel mantenere alta la suspense - peraltro non il suo obbiettivo primario - e, soprattutto, nel regalare ai lettori personaggi credibili in una deriva umana mai enfatizzata a dismisura, una realtà storica all'insegna dello stigma etico e delle umiliazioni postbelliche imposte sulla Germania sconfitta tanto dagli americani quanto dai russi. Questi ultimi, particolarmente esacerbati dai rigori della guerra e mossi da un furore vendicativo talvolta altrettanto raccapricciante quanto le orribili devastazioni perpetrate dai tedeschi contro di loro.

Kerr si cala, senza fastidiosi moralismi, nella mentalità collettiva del popolo tedesco e nella sua delirante presunzione di superiorità. Siccome però di guerre buone non ce ne sono, sa anche far affiorare l'altrettanto detestabile atteggiamento dei Paesi occupanti, sottolineando a più riprese la disumanità dell'esercito sovietico e l'arroganza di quello americano.

Se i primi due libri della «trilogia berlinese» sono ambientati in una Berlino ancora convinta della propria supremazia intellettuale, economica e militare, il terzo, come L'uno dall'altro, affronta il dramma di una Germania in ginocchio, totalmente da ricostruire, dominata da un'angoscia collettiva fino a quel momento probabilmente mai vissuta da nessun popolo, tranne, paradossalmente, quello ebreo.

L'atmosfera di devastazione e depressione affiora a tinte fosche in quello che non è più il crepuscolo degli dei, ma un'ecatombe dell'umanità.

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