Cultura e Spettacoli

E Modena ospita le note d’amore della ragazza alla spinetta

Il ritratto della giovane musicista è una delle ultime opere del misterioso artista

Quarantatré anni di vita, trentacinque dipinti, undici figli. La vita e la fama di Jan Vermeer (1632-1675) salgono e scendono nel tempo da scale eccentriche come quelle di De Chirico. Dimenticato subito dopo la morte, fu riscoperto negli anni Sessanta dell’Ottocento. Artista preferito da Marcel Proust come da Adolf Hitler, sembra sfuggire ogni ricerca, ogni rivelazione.
A metà del Seicento, Delft era una cittadina dal passato glorioso. Le fabbriche di porcellana e di birra e le manifatture di arazzi attiravano i mercanti, le porte medievali, dipinte da Vermeer nella Veduta di Delft, la difendevano. Era considerata la città più amena dell’intera Olanda, aveva «tanti ponti quanti sono i giorni dell'anno», come scrisse un viaggiatore inglese e almeno cinquanta pittori - tra i quali Paulus Potter, Carel Fabritius, Pieter de Hooch, Jan Steen - su una popolazione di 22.000 abitanti.
A vent’anni Vermeer ereditò dal padre sia la locanda che il mestiere di mercante, firmò la Veduta di Delft e prese moglie. Le date scorrono con disarmante laconicità, una dopo l’altra, scandendo la vita di un artista che sembra voler lasciare tutto alla sola pittura. Alle pietre e ai ciottoli dei cortili, alle stoffe e ai legni, ai tempi lenti del suo raggio luminoso che esplora le stanze, gli angoli, gli anditi, le piccole cose, con lo sguardo di un predatore misterioso. Il viso tondo della Giovane donna seduta al virginale è rischiarato da una luce che le brilla sulla fronte. E scende, lungo il braccio sinistro, fino al raso blu della veste, spostandosi sul piede e sul fianco della spinetta dipinti a finto marmo. La luce sembra espandersi a cerchi concentrici intorno a questa lunga macchia bianca. Si appoggia sulla viola da gamba abbandonata a terra e sulla parete azzurro chiaro, sola pausa narrativa che si frappone tra la scena dipinta e il quadro appeso: la Mezzana di Dirck van Baburen, già rievocato anche nel suo Concerto. Sembra che il dipinto raffiguri la musica come metafora dell’armonia dell’amore e che l’opera del caravaggesco di Utrecht appesa al muro voglia alludere al contrasto tra i diversi tipi di amore.
Questo dipinto, una delle ultime opere dell'artista, giunge per la prima volta in Italia, a Modena, protagonista di una mostra raccolta e raffinata che tesse intorno alla giovane musicista un racconto di oggetti e ambienti, con altri rappresentanti sommi dell’arte di quegli anni, da van Vliet pittore di chiese a Piter de Hooch, da Nicolas Maes allo stesso Baburen col quadro che fu dei Vermeer (Modena, Foro Boario, fino al 15 luglio 2007).
E allora anche la biografia della misteriosa «sfinge di Delft» sembra ricevere suoni, rumori, voci.

Echi di quelli veri che Vermeer riuscì a cancellare completamente dalla propria pittura, dilatando l’incanto fuggitivo dell’istante nel tempo lungo della sua posa, nel tempo eterno di un mistero che non si svela.

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