Economia

Il caro-prezzi mette a rischio gli allevatori: i costi schizzano a +111%

Il conflitto, il caro energie e gli aumenti dei mangimi pesano sugli agricoltori italiani. Il boom dei prezzi mette a rischio un’azienda su quattro

Il caro-prezzi mette a rischio gli allevatori: i costi schizzano a +111%

Il settore secondario è in crisi, ma il primario non se la passa meglio. Cartiere, vetrerie e aziende energivore sono in ginocchio, i piccoli esercenti fanno fatica e, a questi, si aggiungono anche gli allevatori, alle prese con costi di gestione tanto alti da esporli a rischio chiusura. Tutte situazioni che scaricano la loro gravità sulle spalle dei consumatori, confrontati con un aumento generale dei prezzi che si somma al caro energie che gonfia le bollette.

I fattori che gravano sui costi degli allevatori sono esterni ma anche interni, dipendenti quindi da politiche agrarie che andrebbero riviste con urgenza.

Il boom dei costi per gli allevatori italiani

A causa dei rincari dei carburanti, dell’energia elettrica e dei mangimi, la fattura totale per gli allevatori è aumentata in media del 111%. Un aumento a tripla cifra, un record negativo che mette in crisi un’azienda su quattro.

L’impatto medio dei maggiori costi per singola azienda è di 29.060 euro che raggiunge il picco di 90.129 euro per i produttori di latte. In media si parla di maggiori costi per l’approvvigionamento di energia (+ 35.000 euro), di mangimi (+ 34.000 euro) e di carburanti (+ 6.000 euro).

I dati, forniti dal Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria (Crea), descrivono una realtà che cambia per quadrante geografico: in termini percentuali crescono più i costi degli allevatori delle isole (138%) e del sud (129%) rispetto a quelli del centro (112%) e del nord (106%).

Al di là degli allevamenti nel settore del latte, la produzione di un chilogrammo di carne suina costa il 27% in più e quella di carne bovina il 33% in più. Tutti costi maggiorati che gravano – anche se in misura e secondo logiche diverse – lungo tutto il mercato fino al consumatore.

Il comparto dei bovini da latte è quindi esposto alla situazione geopolitica del conflitto russo-ucraino, territorio dal quale provengono mangimi e fertilizzanti, a cui si aggiunge il caro energie. Uno dei motivi, però, ha poco a che fare con la politica estera.

Le misure interne

La regione Lombardia ha annunciato di volere stanziare 17 milioni di euro per supportare le imprese. Una misura opportuna nella contingenza che però può rivelarsi essere un cerotto laddove servirebbe una fasciatura. In Italia ci sono un milione di ettari di terreno la cui coltivazione può essere riorganizzata. Questo permetterebbe di diventare meno dipendenti dall’estero tanto per le materie prime quanto per i mangimi e, cosa non meno importante, potrebbe rivalutare il ruolo dell’agricoltura e degli allevamenti nazionali, primo anello della filiera alimentare e spesso parte più debole di tutta la catena. Agricoltori che, per sopravvivere, snaturano la propria vocazione per rispondere alle esigenze del mercato, zavorrando la varietà della produzione locale in favore degli utili.

Una pianificazione più rispettosa dei lavoratori e delle necessità del settore è un modo per renderlo più indipendente e meno suscettibile all’economia e alla politica estere.

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