Economia

Borse a picco, è spettro recessione

Pesa la stretta delle banche centrali. Milano -3,3% e l'Europa brucia 233 miliardi

Borse a picco, è spettro recessione

Chi sperava che, dopo la marcia indietro della Bce di mercoledì 15, per i mercati il peggio fosse alle spalle, si sbagliava. Ieri un'altra ondata di vendite ha investito tutti i listini. Milano ha ceduto il 3,3% chiudendo a 21.726 punti: 2.510 punti persi in sei sedute, pari al 10,3 per cento. Un crollo. Non meglio il listino tedesco e comunque giù di oltre il 2% tutti gli altri, compresi quelli Usa. Più serena la situazione sul fronte dello spread, sceso da 216 a 202 punti, ma anche per l'aumento dei rendimenti sui bund, che ha ridotto il differenziale «dal basso».

Le novità in grado di spiegare il comportamento dei mercati sono state due. Ma solo una di queste è stata una sorpresa: l'aumento dello 0,5% dei tassi da parte della Banca Svizzera. Mentre la seconda - il rialzo di 0,25% della Bank of England - era attesa. In ogni caso, come insegnano i testi di economia, i tassi alti non piacciono alle Borse. Se a questo si sommano le tensioni sul fronte del gas, lo stallo in Ucraina, i livelli molto alti raggiunti dagli indici azionari e soprattutto lo spettro di una nuova recessione, lo scrollone delle Borse ci sta tutto e probabilmente non è finito.

Ieri ha avuto un peso anche il rialzo dello 0,75% annunciato dalla Fed alla vigilia. L'iniziale neutralità della notizia ha avuto un impatto negativo con una seduta di ritardo, confermando quanto i mercati siano nervosi e pericolosi, di fronte alle scelte di politica monetaria delle banche centrali.

La questione resta comunque quella della credibilità della Bce, dal momento che la nuova volatilità è partita dopo la riunione della scorsa settimana, alla quale è seguito un meeting di correzione, quello di mercoledì scorso. La decisione di fermare il quantitative easing e di alzare i tassi da luglio è stata successivamente attenuata dalla mossa sull'annuncio di uno scudo antispread. Ma l'impressione è che le autorità monetarie dell'area euro abbiano messo la tipica toppa peggiore del buco. Infatti lasciano perplessi sia la superficialità con cui sono stati lasciati andare gli spread, sia la successiva marcia indietro, che non ha chiarito gli strumenti messi in campo.

Tanto è vero che ieri, il presidente della Banca centrale Christine Lagarde sarebbe ancora intervenuta per fare chiarezza: il rischio di frammentazione nell'area euro, evidenziato dal rialzo degli spread, rappresenta «una minaccia seria al nostro mandato della stabilità dei prezzi. Dubitare il nostro impegno sarebbe un grave errore». È quanto avrebbe detto Lagarde ai ministri dell'Eurogruppo secondo fonti Ue. E il presidente ha dovuto spiegare il perché del meeting d'emergenza convocato per annunciare misure contro lo spread, di fronte ai dubbi posti da alcuni dei ministri più in linea con posizioni rigoriste.

Mentre da Milano il vicepresidente Bce De Guindos ha detto che quello della Bce «non è uno scudo ma un elemento contro la frammentazione dei mercati» per «evitare che un'impresa o una famiglia in Spagna paghi di più di una equivalente in Germania». E questa è la nuova parola che si gioca la Bce: «Frammentazione», evoluzione dello spread che sembra fatta apposta per edulcorare i termini della questione. Non a caso, all'Eurogruppo, il ministro delle finanze tedesco Lindner ha dichiarato chiaro e tondo che le preoccupazioni per l'allargamento degli spread non sono fondate. Mettendo sul piatto la contrarietà, condivisa dai falchi del Nord Europa, rispetto allo scudo anti-spread senza condizioni.

La battaglia è appena iniziata.

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