Economia

Ecco le cedole senza conti «boom»

Ecco le cedole senza conti «boom»

In tempi di crisi c'è ancora chi non sa rinunciare ai dividendi, nemmeno con i conti in rosso. A fine 2012 il monte delle cedole di banche e imprese si è attestato a 13,8 miliardi di euro. Un dato lievemente superiore rispetto ai 13,3 miliardi del 2011, ma più basso di quello del 2010 (18 miliardi).
Il contesto macroeconomico molto difficile, forse, avrebbe dovuto indurre a una maggiore prudenza. Ma tant'è, a Piazza Affari c'è ancora uno zoccolo duro che non teme i risultati in rosso e i cali a doppia cifra dei profitti. Da Atlantia a Beni Stabili passando per Piaggio, Vianini e Save, sono 17 le società che nel 2012 hanno realizzato utili inferiori al 2011, ma hanno comunque confermato o alzato la cedola per i propri azionisti.
Scelte manageriali s'intende, anche se gli effetti possono essere controproducenti. Il taglio delle cedole, infatti, può evitare una flessione degli investimenti (necessari per lo sviluppo di un'azienda) oppure un ridimensionamento della forza lavoro ( inasprendo il contesto recessivo).
Credito Bergamasco a parte, è da notare come, tra questi casi, non figuri nemmeno una banca. Merito forse del monito lanciato da Bankitalia agli istituti e, in parte, di risultati così negativi da non poter proprio giustificare neppure una mini-cedola. Diversa la situazione sul fronte corporate dove se gli Agnelli (Fiat), i Berlusconi (Mediaset) e i De Benedetti (Cir) hanno rinunciato al premio di fine anno, non altrettanto si può dire dei Benetton (Atlantia) e, in parte, della famiglia Tronchetti Provera. Pirelli & C. ha chiuso il 2012 con utili in calo del 21,2% a 31,8 milioni, ma ha comunque deciso di alzare la cedola a 0,415 euro (+9,5%).
Occorre comunque ricordare che sull'utile 2011 del gruppo milanese ebbero un impatto positivo 128 milioni di imposte differite attive pregresse.
Diverso il caso della società autostradale fresca di fusione con Gemina. Qui la scelta del gruppo è stata quella di lasciare invariata la remunerazione a fronte di profitti a 808 milioni (-10%). Certo, una scelta aziendale diversa da quella compiuta da Beni Stabili e Vianini Industria che, pur con i conti in rosso, si sono staccati assegni a 0,022 e 0,02 euro ad azione.
Tra i nomi eccellenti si annoverano la Piaggio di Roberto Colaninno con un utile in calo del 9% a 42 milioni, ma un dividendo invariato a 0,082 euro; e le Generali che, dopo le «grandi pulizie» decise dal ceo Mario Greco che hanno comportato una flessione del risultato netto a 90 milioni (-89%), ha voluto inviare un segnale di fiducia confermando la remunerazione del 2011.
Un ragionamento a parte meritano le utility, ovvero quelle società come Save, Acea e A2a che hanno come azionisti i Comuni. Da anni si discute del peso che la politica e le sue scelte hanno su queste società, per troppo tempo considerate come «vacche da mungere». Non si possono non evidenziare i casi Acea e Save. L'utility romana, che ha tra i principali azionisti il Comune di Roma, ma anche Caltagirone e GdF-Suez, ha registrato nel 2012 un utile in calo del 10% a 77,4 milioni, ma ha stabilito l'attribuzione di un dividendo ordinario pari a 0,30 euro per azione (corrispondente a un payout del 75%, in aumento dai 0,28 euro del 2011).
Quanto a Save, per la gioia della Provincia di Venezia, ma anche del fondo Amber, nonostante profitti in flessione del 21%, a 31,8 milioni, ha proposto all'assemblea un dividendo pari 23 milioni, circa 0,41561 euro per azione (+9,5%).

Non può passare in sordina, infine, il caso A2a che nel suo primo anno di ritorno all'utile non ci ha pensato due volte e ha scelto di raddoppiare la cedola.

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