Economia

Non pagare l'Iva? Non sempre è reato: ecco quando

Disciplinato anche dal Codice penale, il reato per omesso versamento dell’Iva è un reato punibile con almeno 6 mesi di carcere. Ma ci sono diverse sfaccettature

Non pagare l'Iva? Non sempre è reato: ecco quando

L’omesso versamento dell’Iva rientra nella materia dell’evasione fiscale e, oltre a essere disciplinato dal Codice penale, è anche sorretto dall’articolo 10-ter del decreto legislativo 74/2000 sui reati tributari.

È un reato punibile con sanzioni pecuniarie ma, in taluni casi, anche con la detenzione da sei mesi a due anni ma, quando si parla di versamenti Iva non effettuati, entrano in gioco fattori che vanno al di là del mero calcolo aritmetico, come confermano alcune recenti sentenze della Cassazione.

L’omesso versamento dell’Iva

Il reato di omesso versamento dell’Iva si configura quando non si paga l’imposta per un ammontare annuale superiore a 250mila euro, soglia che non varia a prescindere dalla cifra d’affari conseguita dal contribuente.

Tuttavia, non si tratta di un mero criterio contabile giacché occorre l’elemento del dolo, quindi la volontà di non versare il dovuto all’erario. Questo significa che non costituiscono reato l’omissione di versamento colposa o per negligenza.

Come anticipato, il reato di omesso versamento dell’Iva è punibile con la reclusione da 6 mesi a 2 anni se l’importo evaso è superiore a 250mila euro per singolo anno tributario. Al di sotto di questo importo scattano sanzioni economiche.

Occorre porre l’accento sul fatto che, per principio almeno, il motivo che induce all’evasione dell’Iva non conosce attenuanti, anche nel caso in cui il contribuente non abbia potuto riscuotere fatture emesse nei confronti della Pubblica amministrazione. Ci si trova quindi davanti a un’impasse di rilievo: l’azienda che non versa l’Iva relativa ad una fattura, anche se non pagata, si espone comunque al rischio penale.

Per quali motivi si può ottenere l’assoluzione

Viene in soccorso del contribuente il principio di tenuità del fatto il che, in termini non giuridici, significa che l’importo evaso non è ingente o che il contribuente, di norma, versa il dovuto entro i termini stabiliti.

Anche nel caso in cui il reato non fosse punibile, il contribuente riceverà le cartelle esattoriali e l’Agente per la riscossione si attiverà per procedere con il pignorarne i beni e, qualora il debito Iva fosse superiore ai 120 mila euro, anche la casa del contribuente diventerebbe pignorabile, a meno che non sia il solo immobile che possiede.

Il comportamento non animato dalla precisa volontà di non versare l’Iva, è di norma considerato attenuante ma, come scritto sopra, non inficia sul debito che rimane esigibile da parte dell’erario.

Le sentenze

Tra la giurisprudenza disponibile si fa spesso riferimento alla sentenza della Cassazione 42522/2019 del 16 ottobre 2019 con la quale, il legale rappresentante di un’impresa, ha motivato il mancato versamento dell’Iva sostenendo di avere destinato il denaro alla continuità delle attività dell’azienda che stava attraversando un momento di crisi. Per i giudici questo comportamento non prova la volontà di non pagare l’Iva considerando che, riuscendo a garantire la sopravvivenza dell’impresa, il debito con l’erario sarebbe stato sanato in un secondo momento.

Tuttavia, conferma la Cassazione con sentenza 3353/2018, ripetere nel corso degli anni l’omesso versamento dell’Iva anche per somme inferiori ai 250mila euro, può fare decadere il principio di tenuità del fatto poiché lascerebbe intravvedere serialità nel non pagare l’Iva. Quello della tenuità del fatto è un concetto giuridico sorretto dall’articolo 131 bis del Codice penale, la cui definizione lascia spazio a interpretazioni, non definendo i parametri coi quali un atteggiamento viene considerato abituale.

Anche la Cassazione, con diverse sentenze, non ha mai chiarito in modo univoco quali motivi giustificassero l’omissione dolosa del versamento dell’Iva né quali parametri ne delimitassero la serialità. Questo fino al 22 settembre del 2022 quando, con sentenza 38098, la Cassazione ha ritenuto che il contribuente sappia già al momento dell’emissione di una fattura a quanto ammonta l’Iva e, una volta incassata, non può esimersi dall’accantonare l’importo che dovrà poi versare all’erario.

Nel caso specifico la Cassazione ha respinto il reclamo, confermando all’imprenditore una pena detentiva di 4 mesi e 20 giorni.

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