Economia

Ora il Monte rischia di costare più allo Stato che a Unicredit

Il dg del Tesoro Rivera: "Lo venderemo, ma senza il beneficio Dta e dopo un aumento di capitale"

Ora il Monte rischia di costare più allo Stato che a Unicredit

Mps sarà privatizzata. A tutti i costi, che potrebbero essere più elevati dei 7-8 miliardi richiesti da Unicredit per togliere le castagne dal fuoco al Mef (al 64% del capitale della banca) e rispediti al mittente. Il mantenimento sine die della partecipazione in Mps non è uno scenario ipotizzabile e la privatizzazione costituisce un punto di arrivo necessario ha dichiarato ieri, nel corso di un'audizione congiunta delle Commissioni Finanze di Camera e Senato, Alessandro Rivera, direttore generale del Tesoro, spazzando via le ultime ipotesi di nazionalizzazione della banca senese o di un terzo polo pubblico.

Il problema, quello di convincere un acquirente a sobbarcarsi Mps, è solo posticipato di un periodo sufficientemente lungo per porre in essere delle ulteriori azioni di rafforzamento della banca, sempre che Commissione Europea dia il benestare alla proroga per l'uscita del Mef dal capitale di Rocca Salimbeni, originariamente prevista entro fine anno. Il fatto è che gli ennesimi tempi supplementari potrebbero costare, secondo un primo calcolo, fino a 12 miliardi tra l'ennesima ricapitalizzazione che il Tesoro spera di effettuare a condizioni di mercato per evitare il salvataggio oneroso di azionisti e obbligazionisti (pro quota, per Via XX Settembre l'esborso potrebbe essere compreso tra i 1,6 e 3,2 miliardi), il piano esuberi (le stime parlano di 7mila unità circa, su base volontaria, tre volte quanto previsto, con un costo intorno ai 1,5 miliardi), la gestione dei crediti deteriorati e delle cause legali pendenti (fonti bancarie prevedono rispettivamente un potenziale costo di 2 e 3 miliardi), oltre ai 2,3 miliardi di Dta (vantaggi fiscali) preventivati a Roma per rendere attraente il boccone e ora svaniti con la nuova manovra insieme al naufragio della trattativa con Unicredit.

E potrebbero non bastare. Così come potrebbe non bastare il piano solido e credibile (ovvero lacrime e sangue) che Via XX Settembre si prepara a contrattare con Francoforte e Bruxelles. È questo il timore di Lando Maria Sileoni, segretario nazionale della Fabi, secondo cui le condizioni che porrà adesso la Bce potrebbero essere molto più dolorose per il lavoratori di Mps. Lo stesso direttore del Tesoro ha ammesso che la proroga da parte della Commissione Europea comporterà misure compensative per il prolungamento del sostegno statale e il mancato raggiungimento di alcuni obiettivi (a iniziare dal rapporto tra costi e ricavi previsto al 50,6% a fine anno ma fermo al 74,9% a dicembre 2020). Per non parlare dei costi non ancora quantificabili visto che il Mef si propone di continuare a garantire che la banca sia gestita in modo efficiente e che rimanga patrimonialmente solida fino a che non sarà disposta la vendita. E potrebbe non essere questione di mesi visto che, secondo Rivera, a poco vale per il fascicolo Mps la proroga a giugno delle Dta: Non sarebbe semplice onestamente ipotizzare che, in questo lasso temporale piuttosto contenuto, si possa davvero completare un ulteriore approfondimento.

Rivera ha comunque dichiarato di non attendersi procedure di infrazione e ha auspicato che Mps possa registrare sul 2021 un utile appena sotto al miliardo anche se si tratterebbe di un andamento al di là delle nostre attese (dal rosso di 1,69

miliardi di un anno fa). Quanto alla governance, sono state smentite le ipotesi di un cambio al timone del Mps dove siede Guido Bastianini che, insieme ad Andrea Orcel, ad di Unicredit, è atteso in Parlamento l'8 novembre.

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