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Enrico Vaime, l'arte sottile di sorridere del mondo

Sarebbe un epilogo poco divertente se Enrico Vaime (1936-2021), umorista sfavillante, fosse finito davvero all'inferno come auspicava per se stesso, ritenendolo il luogo più adatto per protrarre, nell'aldilà, le sue birichinate

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Sarebbe un epilogo poco divertente se Enrico Vaime (1936-2021), umorista sfavillante, fosse finito davvero all'inferno come auspicava per se stesso, ritenendolo il luogo più adatto per protrarre, nell'aldilà, le sue birichinate. Più giusto immaginarlo in un Paradiso degli artisti, intento a sollazzare gli astanti con una mitragliata di battute. Vaime apparteneva alla schiatta dei Flaiano, Zavattini, Bianciardi, suoi maestri e sodali. La definizione più pertinente su di lui la diede forse Flaiano, quando disse «c'è in Enrico la malinconia dell'uomo civile di fronte ai progressi della maleducazione e della barbarie». In attesa che un Meridiano ne certifichi lo spessore narrativo, si accoglie con lietezza il libro Enrico (Futura Libri), a cura dell'intimo amico Umberto Marini con cui condivideva i natali perugini. Vinse un concorso in Rai nel 1960, venendo giudicato dai commissari Moravia, Pasolini, Ungaretti, ma in breve rassegnò le dimissioni perché non digeriva la stolidezza di taluni dirigenti. Scelta lungimirante poiché, da libero professionista, continuò a collaborare raccogliendo da subito, come autore, il successo di Canzonissima con Mina e Walter Chiari e di Quelli della domenica, debutto di Villaggio e Cochi e Renato. Fiore all'occhiello della sua lunga storia d'amore (e odio) con la Rai, il pluridecennale Black Out, in cui ogni settimana intratteneva i radioutenti, accompagnato da un parterre de rois di ospiti.

Ma il multiforme Vaime è stato molto altro, a cominciare dalla ditta con Italo Terzoli, in una collaborazione di oltre mezzo secolo includente le commedie musicali, vetrine per mattatori di consumato talento quali Bramieri e Montesano. Ci sarebbe magari il rischio, in una carriera fantasmagorica, di trascurare lo scrittore Vaime. Marini scongiura il pericolo proponendo le «spigolature estive» dell'amico, ritratti grotteschi dell'homo italicus alle prese con le agognate ferie d'agosto, e gli articoli di critica televisiva per L'Unità. Riguardo alla produzione aforistica, impossibile enumerare i suoi duemila apoftegmi ma la selezione (con perle quali «Tutte le lingue sono affascinanti.

Basta non studiarle» e «Gli amori finiscono, non preoccupatevi») risulta bastevole.

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