Controcultura

Eros, furia e delitti alla corte degli Este

Giulio d’Este (1478-1561) era il figlio naturale del duca di Ferrara Ercole I d'Este. Fu prima aggredito e quasi accecato dai servi di suo fratello, il cardinale Ippolito d’Este, e poi incarcerato per 53 anni

La violenza esplose senza preavviso il 3 novembre 1505. Accadde nel mezzo dei prati di Sant'Antonino, tra Belriguardo e Ferrara. Giulio d'Este, figlio naturale del defunto duca Ercole, stava tornando a Ferrara: per sua sfortuna cavalcava solo e senza scorta. Ad un certo punto vide venirgli incontro un gruppo di uomini armati, alcuni a cavallo, alcuni a piedi. Scorse subito suo fratello, il Cardinale Ippolito, tra di loro? Non lo sappiamo. Di certo, arrivati a breve distanza i due si salutarono, Giulio, famoso in tutte le corti italiane per la sua aitante bellezza, non era, da mesi, in buoni rapporti con Ippolito ma, evidentemente, non aveva particolari sospetti. Si può solo immaginare la sua sorpresa quando il Cardinale urlò: «Ammazzate colui, cavategli gli occhi!». Lo buttarono giù di cavallo e poi uno staffiere, soprannominato il Brogna, lo prese a stilettate sul viso.

Tuttavia Giulio non morì. Soccorso, nelle ore seguenti venne prontamente curato dal medico del nuovo duca, l'altro suo fratello Alfonso. Ma ovviamente l'aggressione spaccò per sempre l'unità familiare. Ippolito d'Este si rese irreperibile, Alfonso cercò di punire l'aggressore materiale, ma si guardò bene dal colpire il fratello Cardinale che, del resto, gli era intimo e di fondamentale appoggio politico. L'ultimo restante, invece, dei fratelli Este, Ferrante, iniziò a perorare a tutti i costi la causa di Giulio, a cui era legatissimo.

Così le scelte sostanzialmente favorevoli al Cardinale fatte dal nuovo Duca, pur affezionato a Giulio e Ferrante, portarono verso piani di vendetta. Giulio (ormai mezzo cieco) e Ferrante reclutarono sicari con pugnali avvelenati. Erano bellimbusti di corte, però: non cospiratori. Così la faccenda andò come doveva andare: Giulio e Ferrante furono rinchiusi nella torre dei Leoni del Castello Estense. Ferrante vi morì dopo trentaquattro anni di segregazione, Giulio vi rimase sino a quando venne scarcerato per le nozze del pronipote Alfonso II d'Este, dopo 53 anni in prigione. Aveva 81 anni e la corte rimase esterreffatta dei suoi vestiti, molto eleganti ma ormai completamente fuori moda.

Questa vicenda violenta e quasi incredibile è stata narrata da svariati cronisti e scrittori rinascimentali, compreso Francesco Guicciardini. Non stupisce il tanto clamore che la diplomazia estense non riuscì a tacitare. Persino per lo standard delle corti italiane, dove veleno e lame erano all'ordine del giorno, dei fratelli, di cui uno cardinale, che si cavano gli occhi erano una notizia fuori dall'ordinario. E si è sempre favoleggiato sul movente di tanto odio.

Ora, lo storico francese Jean-Claude Maire Vigueur ha ricostruito tutta la vicenda nel suo Attrazioni fatali (il Mulino). Vigueur parte dal fatto di sangue, dalla miccia (amorosa) che fece esplodere l'odio (quasi) fratricida per poi allargare l'indagine a tutto il mondo degli Este e delle famiglie a loro collegate. Così, seguendo le tracce della bella Angela Borgia, cugina di Lucrezia, si arriva facilmente alla scaturigine del rancore. La pulzella scacciò Ippolito dicendo che gli splendidi occhi di Giulio valevano ben più di un cardinalato e Ippolito, uomo uso all'azione, pensò subito di risolvere il problema.

Ma il libro regala al lettore ben più della ricostruzione di un mondo di corte fatto di potere e seduzione, di equilibri, di tentativi di creare buone famiglie e poi disfarle nel sangue, in un'epoca in cui eros, legami e ragion di Stato erano costretti a coesistere in un'alchimia dove splendore e brutalità erano solo due facce della stessa moneta rinascimentale.

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