Controcultura

Gli esodi non controllati finiscono sempre male

Matteo SacchiÈ difficile discutere di immigrazione sfuggendo ai cliché triti o allontanandosi dagli slogan, dalle reazioni emotive. Ci sono però dei dati, oggettivi, da cui non bisognerebbe staccarsi. Il primo è che, piaccia o non piaccia, le culture non sono uguali. Alcune possono integrarsi molto facilmente, altre risultano molto lontane tra loro. Quindi il processo di assimilazione o di fusione (se si immagina una soluzione più paritaria) avviene lentamente. O proprio non avviene. Esistono dei dati numerici ed economici non trascurabili. Un conto è integrare alcune migliaia di persone nell'economia di un Paese in crescita. Un altro integrarne qualche milione nell'economia di un Paese in recessione. In un caso, facilmente, i migranti possono trasformarsi in una risorsa. Nell'altro, altrettanto facilmente, possono trasformarsi in fattore destabilizzante. Esistono formule che consentono di calcolare qual è il rapporto sostenibile, gli economisti le hanno elaborate da anni. Per rendersene conto basta dare un'occhiata a un saggio come Exodus. I tabù dell'immigrazione di Paul Collier (Laterza). Una valutazione serena del fenomeno non può portare che a una risposta: l'immigrazione funziona solo quando è controllata, regolata. Non si può sperare che i flussi spontanei si arrestino da soli in situazioni di equilibrio sostenibile. E non si può fare finta che l'emigrazione non danneggi i Paesi di partenza.

Ci saranno pure le «rimesse» ma può bastare la storia del Meridione d'Italia per far capire che rischi si corrano. Ma questi ragionamenti faticano a passare, anche semplicemente a trovare spazio di discussione. Ed è pericolosissimo.

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