Politica

Esplosione in caserma, dilaniato carabiniere

Ferito a un timpano anche un maresciallo. Ancora oscura la dinamica dell’episodio. Dall’autopsia di oggi attesi ulteriori elementi

Massimo Malpica

nostro inviato a Latina

Un ordigno artigianale, ma molto sofisticato con esplosivo di sintesi ad alto potenziale. Progettato per uccidere, ed entrato chissà come nel cuore di una caserma dell’Arma. Dove, infatti, ha ucciso. La vittima è Alberto Andreoli, carabiniere di quartiere 35enne, originario di Sessa Aurunca. Da anni un viso familiare e amichevole per gli abitanti del centro di Latina, dove si era trasferito con la moglie e due figlie piccole. Ieri pomeriggio, alle 15.40, Andreoli si è trovato nel posto sbagliato al momento sbagliato. Era nell’ufficio denunce, al piano terra della caserma Vittoriano Cimmarrusti, sede del comando provinciale dei carabinieri del capoluogo pontino, nel centralissimo largo Caduti di Nassirya quando la bomba - che presumibilmente si trovava su una scrivania, e che l’appuntato aveva forse preso in mano - è esplosa, trasformando la stanza in un inferno di schegge e togliendo la vita al giovane militare.
«C'è stato un boato pauroso», racconta il barista di un caffè accanto al comando dell’Arma. «Ho sentito l’esplosione - prosegue - e sono corso in strada per capire che cosa fosse successo. Ho visto molti carabinieri guardarsi intorno spaesati, come me e i tanti passanti che erano lì in quel momento. Non c’era fumo, non si capiva niente da fuori. Poi abbiamo saputo. Mi sembra incredibile che sia stato davvero un attentato, qui a Latina, e contro un ragazzo così mite». Sembra incredibile a molti. E all’inizio girano voci contrastanti. Un colpo partito da una pistola, una tragica fatalità. Ma poi è il procuratore aggiunto Francesco Lazzaro, che si è precipitato in caserma dopo l’esplosione insieme al sostituto Giancarlo Ciani, a certificare il sospetto più inquietante e a dare corpo al timore dell’attentato. «Escludo che si sia trattato di un incidente ed escludo anche che si trattasse di un corpo di reato, che l’esplosivo cioè fosse stato sequestrato dagli stessi carabinieri». Insomma, «l’appuntato - scandisce il magistrato - è morto per l’esplosione di un ordigno contenente materiale sintetico con alto potere deflagrante, inserito in un involucro presumibilmente metallico. Una bomba costruita per uccidere».
Come sia arrivata in quella stanza, a meno che non sia stato lo stesso Andreoli a portarla, dopo averla raccolta all’esterno, è la domanda a cui stanno cercando di rispondere gli uomini del Racis, gli artificieri e i carabinieri del Ris di Roma, che fino a tarda notte hanno proseguito con i rilievi nella stanza. «Devastata, con i muri scheggiati, la scrivania distrutta», la descrive Lazzaro. Che esclude quasi per certo che l’ordigno sia arrivato per posta su quel tavolo. E non è plausibile nemmeno l’ipotesi che la bomba sia stata lanciata nell’ufficio dall’esterno: la finestra che dà sulla strada, ora nascosta da un lenzuolo bianco, è protetta da una grata metallica, rimasta intatta anche dopo l’esplosione. In mancanza di una firma esplicita, perché gli inquirenti ricordano come finora non sia arrivata nessuna rivendicazione, solo le analisi e i rilievi scientifici potranno ricondurre alla mano dell’attentatore. Dal gesto isolato di un folle fino alla pista anarchica (esclusa però dal magistrato Vincenzo Saveriano: «Lavoriamo su altre ipotesi»), al momento ogni possibilità è stata presa in considerazione. «Cosa è successo? “Al lupo al lupo” non vi dice nulla? Certo non ce l’avevano con il povero Alberto», spiega con gli occhi lucidi un collega della vittima che preferisce restare anonimo. Mentre, poco prima delle 21, da un ingresso laterale arriva in caserma su un’auto dell’Arma la moglie di Andreoli, che si appoggia in lacrime alla psicologa che l’ha raggiunta nel pomeriggio a casa. Intanto il prefetto di Latina Salvatore La Rosa lascia la caserma dove si è incontrato con il comandante provinciale dell’Arma, Domenico Libertini, il questore Alfonso La Rotonda e il sindaco della città pontina, Vincenzo Zaccheo. «Sono addolorato da questa tragedia che ha colpito la nostra città - commenta il primo cittadino -, portandosi via un giovane servitore dello Stato che lascia una moglie e due figlie molto piccole. Ho convocato per domani (oggi, ndr) un consiglio comunale straordinario, e ho preso contatti con il prefetto.

Speravo si trattasse di un incidente, per quanto tragico, ma l’esplosione di un ordigno è davvero un episodio molto grave».

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