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Ma l'intesa Meloni-Ue per il dopo-Ursula non è in discussione

Tanto si è fatta complicata la trattativa sulla riforma del Patto di stabilità che Ursula von der Leyen ha allertato il suo staff e ha anche chiesto ai suoi uffici di verificare in maniera certosina le traduzioni di tutti i documenti

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Tanto si è fatta complicata la trattativa sulla riforma del Patto di stabilità che non solo Ursula von der Leyen ha allertato il suo staff per un eventuale coda a sabato del Consiglio Ue in programma giovedì e venerdì della prossima settimana, ma ha anche chiesto ai suoi uffici di verificare in maniera certosina - e senza l'aiuto del sistema automatico - le traduzioni di tutti i documenti prodotti nelle riunioni degli ultimi mesi. Vista l'aria che si respira a Bruxelles in queste ore, infatti, il timore è che eventuali imprecisioni possano diventare argomento di discussione ed incendiare un confronto che è già piuttosto teso.

È questo, dunque, il clima in cui ci si prepara prima alla riunione dell'Ecofin di venerdì e poi al Consiglio del 14 e 15 dicembre. È qui, infatti, che la partita entrerà nel vivo, con la possibilità concreta che l'impasse persista. La crisi di bilancio che sta vivendo la Germania - che rischio di andare all'esercizio provvisorio - ha infatti ulteriormente irrigidito le già austere posizioni di Berlino. Con Roma che continua ad evocare lo scenario del veto. Anche perché da Bruxelles rimbalza un disponibilità della Francia a non opporsi alla stretta rigorista tedesca. Non è un caso, dunque, che stia prendendo piede lo scenario di un compromesso minimal: provare a trovare un'intesa politica di massima e poi rimandare il tutto a un nuovo Ecofin a gennaio.

Oggi, intanto, Giorgia Meloni riceverà a Palazzo Chigi la presidente del Parlamento europeo, Roberta Metsola. Si parlerà di Patto di stabilità, certo, ma pure degli ultimi affondi su Bruxelles di Matteo Salvini. Due fronti che non sono destinati a cambiare l'approccio della premier in vista delle Europee di giugno. La matematica, infatti, è implacabile nel dire che lo scenario di una riedizione della «maggioranza Ursula» è quasi scontato. E né Meloni né Fdi potrebbero sottrarsi a sostenere il futuro presidente della Commissione indicato dall'asse Ppe-Sd.

Che il premier di un Paese fondatore (e membro del G7) decida di chiamarsi fuori dalla nomina dei futuri vertici europei è uno scenario ai limiti del plausibile.

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