Controcultura

È il farmaco giusto ma manca il bugiardino

Luca DoninelliCon la parola «sacro» intendiamo la percezione di una presenza che eccede la nostra possibilità di controllo. Sacro è l'altro, poco importa se con la «a» maiuscola o minuscola. Sacro è ciò che obbedisce a una volontà diversa dalla nostra e al cui centro non ci siamo noi. Sacro è tutto ciò che non potrà mai essere a portata di mano o di qualcuno dei prolungamenti delle nostre mani: cacciavite, scavatrice, trivella, razzo interstellare. Sacro è ciò che possiede qualcosa di più, al quale non sappiamo né mai sapremo fare fronte. La stella più lontana è o sarà a portata di mano, ma se una tigre ci sta puntando e noi siamo disarmati non c'è nulla che ci possa servire, tranne forse una preghiera. Sacra è dunque la tigre, e tutto ciò che, come la tigre, ci viene come messaggero di un mondo che non è il nostro. Gli antichi lo chiamavano l'Essere. Temo che Emanuele Severino abbia ragione quando dice che noi non siamo più in grado di comprendere questa parola. Sacro è qualcosa che è totalmente estraneo a noi e che tuttavia ci riguarda totalmente: sentiamo che ne va di noi, ma manca il bugiardino, manca il libretto delle istruzioni. Molti saggi sono stati dedicati al senso del sacro, del numinoso e così via, ma io voglio ricordarne uno semplice e noto a tutti: I promessi sposi di Alessandro Manzoni, quando l'Innominato, alla vista di Lucia, per la prima volta scopre l'Essere e, sempre per la prima volta, si riconosce impotente.

Capisce che qualsiasi azione nei suoi confronti sarebbe perfettamente inutile: Lucia non potrà essere cancellata, dimenticata da nessuna azione. Il sacro non è un sentimento irragionevole, siamo noi gli irragionevoli abitatori dell'universo, persuasi di possedere già tutte le risposte che ci servono.

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