Letteratura

"La felicità è possibile a qualunque età. Le buone relazioni salvano mente e corpo"

Il condirettore dell'Harvard Study racconta i risultati di una ricerca che dura da 85 anni

"La felicità è possibile a qualunque età. Le buone relazioni salvano mente e corpo"

«All'inizio si trattava di due studi separati, cominciati nel 1938 e riguardanti la città di Boston: uno su persone abitanti nei quartieri poveri, figli soprattutto di immigrati; l'altro su ragazzi relativamente privilegiati, studenti universitari. In totale, 724 persone. La domanda era: che cosa permette agli esseri umani di prosperare? I metodi dei due studi erano simili e, col tempo, sono confluiti nell'Harvard Study of Adult Development» spiega Marc Schulz, che dello studio è attualmente condirettore con Robert Waldinger. Ovvero, la più lunga ricerca condotta al mondo sulla felicità e il benessere, in corso ancora oggi. Nel frattempo, «la maggior parte dei primi partecipanti allo studio è morta quindi, dieci anni fa, hanno a iniziato a partecipare i loro figli»: in tutto, circa duemila americani che hanno risposto a questionari e partecipato a uno screening il più possibile esaustivo sulle loro esistenze. In 85 anni, gli scienziati dell'Harvard Study hanno considerato cartelle cliniche, amicizie, parentele, ambiente di lavoro, istruzione, stipendio, rapporti famigliari, attività fisica, passioni, relazioni amorose, valori del colesterolo, peso, Dna, cultura, contesto sociale... Il risultato è quello che Marc Schulz (docente di Psicologia al Bryn Mawr College) e Robert Waldinger (professore di Psichiatria alla Harvard Medical School) raccontano in Lezioni di felicità (Mondadori, pagg. 372, euro 20).

Marc Schulz, come è nata l'idea del libro?

«Robert e io volevamo raccontarne la parte più interessante: la vita delle persone coinvolte e, anche, alcune informazioni pratiche su quello che possiamo fare per condurre una vita migliore. Il Ted Talk di Robert sull'argomento è l'ottavo più visto di sempre: vuol dire che è stimolante...».

Come definite la felicità?

«Ci sono due aspetti: il primo, un senso generale che la vita sia buona, soddisfacente, con un significato e uno scopo personali; il secondo, una esperienza di emozioni e sensazioni positive, come la gioia».

E potete misurarla?

«La misuriamo in molti modi, considerando quanto agiamo bene con il partner, in situazioni difficili, sotto stress, nella velocità di guarigione... Le persone riferiscono quanto sono felici, noi guardiamo come si comportano effettivamente».

La premessa del libro è una notizia: è possibile essere felici, quindi?

«È una premessa, ma non lo era all'inizio: è il risultato della ricerca. Molti fattori influenzano la nostra felicità, ma la maggior parte è sotto controllo: in cifre, il 50 per cento. Parliamo di circostanze e comportamenti quotidiani, quindi la felicità è sotto il nostro controllo».

Di quali fattori parliamo?

«Ce ne sono molti ma, nella nostra ricerca, il più importante è la qualità delle nostre relazioni con gli altri: partner, amici, parenti, colleghi, vicini di casa, tutti. Buone relazioni ci danno grossi vantaggi: nelle situazioni di stress, nel percepire un senso di noi stessi e della nostra identità, e poi nell'offrirci idee, nel farci imparare cose nuove, nel fare esperienze positive, di gioia e di piacere, per esempio».

E questi fattori sono sotto controllo?

«Lo sono le azioni che intraprendiamo, le cose su cui ci focalizziamo come nostre priorità e, se rendiamo tali le relazioni, ne traiamo grande beneficio. Perché di questo si tratta, di una nostra decisione: trascorriamo ore e ore sugli schermi dei computer e dei cellulari, anziché con le persone importanti della nostra vita».

Che altro serve?

«Per esempio l'esercizio fisico regolare, lo stare all'aperto, l'avere il senso di uno scopo. Ma le relazioni, dice la ricerca, sono sorprendentemente potenti. E questo ci fa ancora più riflettere se pensiamo a quanta solitudine c'è nel mondo, al punto che in Gran Bretagna è stato istituito un Ministero e negli Usa il mese scorso è stato lanciato un allarme pubblico sulla crisi delle connessioni sociali».

Ci sono cifre?

«Purtroppo, la solitudine è molto popolare in Occidente: ne soffre dal 20 al 50 per cento degli adulti. I numeri sono simili in Cina e in Giappone. Molti sono soli e sappiamo che questo è un rischio per la salute, al pari del fumo e dell'obesità».

Quali relazioni sono più importanti?

«Tutte. Quello che conta è la qualità della connessione: avere almeno una persona su cui contare, di cui fidarsi e con cui potersi mostrare vulnerabile nelle sfide della vita, oltre che divertirsi, condividere emozioni e scambiare idee...».

La felicità ci allunga la vita?

«Il legame è complicato, ma ci sono chiare associazioni scientifiche. Per esempio, in una ricerca sui tempi di guarigione da una ferita, chi aveva una persona cara che si occupasse di lui ha recuperato prima; i malati di demenza accuditi da un caregiver sono guariti più lentamente; per ultimi sono guariti proprio i caregiver. Oppure, in uno studio straordinario, James Coan ha scannerizzato il cervello esposto al dolore e ha verificato che, quando una persona, soprattutto una persona cara, ci tiene la mano, a livello cerebrale percepiamo meno stress. Le relazioni influiscono sul corpo e sul cervello».

Avete avuto delle sorprese negli anni?

«Due principali. La prima è proprio questa connessione costante fra buone relazioni e salute fisica. La seconda è stata, seguendo la vita delle persone, quanto siano sorprendenti i cambiamenti, anche nell'età adulta: dopo tante difficoltà, molti riescono a svoltare e a essere felici. Perciò un capitolo è intitolato Non è mai troppo tardi».

È così?

«È così. Quello che ti accade fino a 18 o 30 anni non è per forza il tuo destino. Si può cambiare a qualsiasi età. C'è un caso eclatante di un uomo che, fino a 60 anni, diceva di sentirsi solo e pensava solo al lavoro. Dopo i 60 è andato in pensione, ha divorziato, ha iniziato ad andare in palestra e si è fatto, parole sue, numerosi amici».

Non c'è un'età che ci segna?

«Credo che le cose che avvengono nella nostra infanzia continuino per gran parte dell'età adulta, come modello di relazioni ma, allo stesso tempo, non sono il nostro destino: le relazioni stesse possono farci cambiare questo modello».

Perché è così difficile capire quello che ci fa bene?

«La saggezza antica ce lo ripete da secoli, ma oggi ci sono così tante distrazioni tecnologiche, che ci allontanano dal perseguire quelle cose che sono un beneficio vero per noi. Poi è difficile resistere ai modelli proposti, all'idea che i soldi e il successo siano più importanti delle relazioni e della famiglia. Infine, le relazioni sono un caos: tutte, perfino quelle buone... Le persone rimangono deluse e ferite e hanno paura».

La solitudine «voluta» è diversa?

«Le relazioni sono come il cibo: a ciascuno piace qualcosa di diverso, ma tutti ne abbiamo bisogno. Tutti, anche i più introversi, abbiamo bisogno di relazioni buone per prosperare. Siamo creature sociali, è così che ci siamo evoluti e siamo sopravvissuti, proteggendoci a vicenda: siamo progettati per essere sociali. Il che non significa che tutti dobbiamo partecipare alle feste».

Molti però sperimentano relazioni non buone: si può davvero cambiare?

«Ci sono tante persone sole e deluse: è normale. Bisogna lavorare in maniera consapevole e proattiva, impegnarsi in quello che chiamiamo fitness sociale: dire a chi è importante per noi che lo è; sviluppare le nostre capacità relazionali; impegnarci in una attività che ci piace, in modo da avere contatti ripetuti con le altre persone; rendere le relazioni prioritarie. Ma è difficile farlo a casa, su zoom o skype, o sui social...»

Ha risposto anche lei alle domande dell'Harvard Study?

«Certo. Capire come condurre una buona vita è una curiosità che ho io stesso, dall'epoca del college. Ne ho tratto due lezioni fondamentali sull'importanza delle relazioni. Primo: sono stato molto fortunato ad avere un lungo matrimonio, in cui mia moglie e io ci incoraggiamo a vicenda ad aprirci agli altri».

E l'altra?

«Dopo oltre vent'anni di lavoro a questa ricerca, posso dire che la vita è breve e imprevedibile e che dobbiamo attribuire la priorità alle cose importanti e cercare di realizzarle: per me, stare con gli altri e cercare di rendere il mondo un posto migliore, cercando di aiutare gli altri a vivere meglio».

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