Letteratura

Gabriel Marcel ovvero il Socrate del '900. Nemico dell'astrazione difensore dell'esistenza

Nel filosofo francese la fede è un antidoto ai totalitarismi e al "mondo in frantumi"

Gabriel Marcel ovvero il Socrate del '900. Nemico dell'astrazione difensore dell'esistenza

Commentando gli aspetti filosofici della Redemptor Hominis di papa Wojtyla, il pensatore cattolico Augusto Del Noce fece notare come l'unico filosofo citato (pur se non nominato) nell'enciclica fosse Gabriel Marcel: un autore, a detta di Del Noce, la cui filosofia era «moderna» ma in nessun modo «modernista» o, comunque, «continuabile in maniera modernista», perché «agli antipodi della mentalità secolarizzante di tanti nuovi teologi». L'attenzione del pontefice per Marcel si presentava come «apertura» al «pensiero moderno» perché l'«esistenzialismo religioso» di questi non gli appariva una filosofia proiettata verso una deriva integralista, ovvero capace di far «ripensare in forma nuova il cristianesimo», quanto una via per l'uomo di oggi di avvicinarsi alla «verità» e alla tradizione.

Che Wojtyla ammirasse Gabriel Marcel (1889 - 1973) è significativo. Figlio di un ambasciatore colto e appassionato di arte e di letteratura, Gabriel Marcel aveva maturato i suoi interessi filosofici durante gli studi universitari alla Sorbona, dove seguì i corsi di Léon Brunschvicg, esponente dell'idealismo critico e fondatore, insieme a Élie Halévy, di una delle più importanti riviste filosofiche, la Revue de Métaphisique et de Morale. La conversione al cattolicesimo del 1929 rappresentò una svolta esistenziale e speculativa e il suo pensiero andò sempre più indirizzandosi verso la riflessione sull'esistenza e sul significato dell'esistenza.

Non è un caso che Marcel sia generalmente etichettato nei manuali di storia della filosofia come il maggiore esponente della corrente dell'esistenzialismo cristiano. Ma si tratta di una qualifica che, pur cogliendo alcuni aspetti della sua speculazione, non appare del tutto esaustiva. Come ha osservato Armando Torno nella bella introduzione alla ristampa del suo Diario metafisico (Iduna, pagg. 204, euro 20), Gabriel Marcel «incarnò il versante religioso dell'esistenzialismo, mentre Sartre fu il testimone (meglio: il regista) di quello a-religioso». Si tratta di una riflessione che, attraverso la contrapposizione con Jean-Paul Sartre, esponente di un «esistenzialismo progressivo» e engagé, finisce per connotare quello di Marcel come un «esistenzialismo di destra», se non, come ha scritto qualche esegeta, «reazionario».

Va ricordato peraltro che, per quanto la sua speculazione si muova nell'alveo di una problematica centrata su temi propri dell'esistenzialismo, Marcel ha rifiutato l'etichetta di «filosofo esistenzialista», preferendo semmai quella di «socratico» o «neo-socratico». In un libro degli inizi degli anni '50 ora ripubblicato con una introduzione di Nuccio D'Anna nella traduzione di Julius Evola, L'uomo contro l'umano (Iduna, pagg. 228, euro 18), Marcel precisa che «presa nel suo aspetto dinamico» l'intera sua opera filosofica appare come «una lotta tenace combattuta senza tregua contro lo spirito dell'astrazione». E aggiunge che fin dalle sue prime ricerche speculative egli aveva denunciato «la falsità di ogni filosofia che resti chiusa nel dominio della mera astrazione» e che aveva subito il fascino, prima, e l'influenza, poi, di Henri Bergson, il quale seppe superare in maniera originale le tradizioni dello spiritualismo e del positivismo ottocenteschi proponendo la tesi della «evoluzione creatrice» fondata sullo «slancio vitale» che muove e governa la vita in un continuo adattamento con l'ambiente.

Marcel riconobbe sempre il suo debito intellettuale con Bergson anche se, invero, la sua filosofia - per quanto autonoma e per quanto concentrata sui temi dell'«essere» e dell'«esistenza» - si colloca al crocevia di linee speculative che riportano a Soren Kierkegaard e Martin Heidegger, Karl Jaspers e persino alla fenomenologia di Edmund Husserl e di Max Scheler, nonché del neo-idealismo di Francis Herbert Bradley e di Josiah Royce. Per non dire, ovviamente, di quel cenacolo di filosofi cattolici, da Étienne Gilson a Jacques Maritain, tutti in qualche misura allievi di Bergson e presenti alla Sorbona negli anni in cui Marcel la frequentava.

Il fatto è, però, che il pensiero di Marcel si sviluppò e si precisò durante gli anni '20 e '30, in un periodo particolare della storia e della cultura europee dominato per un verso dalla reazione contro il positivismo, e per altro dall'angosciosa riflessione sulle sorti dell'individuo e della stessa umanità di fronte all'affermarsi in Europa di ideologie autoritarie e/o totalitarie e al diffondersi di una irreligiosità diffusa. Questo pensiero - qualificabile come «spiritualismo esistenzialistico» o «socratismo cristiano» - muoveva da lontano, addirittura da Pascal, e giungeva alla sublimazione della «fede» come risposta alla richiesta, o necessità, di «trascendenza» propria dell'individuo contemporaneo, costretto a vivere in un «mondo in frantumi». La fede, il riconoscimento dell'Assoluto, rappresentavano per Marcel anche l'antidoto contro il rischio dei regimi totalitari, a cominciare da quello comunista, che puntavano a ridurre, attraverso lo Stato-Moloch, il «mondo in frantumi» a una insostenibile ed esteriore unità.

In L'uomo contro l'umano, summa del suo pensiero e suo testamento spirituale, Marcel offre una diagnosi del mondo contemporaneo caratterizzato dalla perdita o riduzione delle libertà, dalla ideologizzazione delle coscienze, dalla crisi o «eclissi» (come avrebbe detto, in seguito, Augusto Del Noce) di valori permanenti e non negoziabili, dall'idolatria per la tecnica, dalla spersonalizzazione delle relazioni umane e via dicendo.

La polemica contro lo «spirito di astrazione», cui Marcel imputa la passionalità e la tendenza a favorire le guerre, percorre l'intero saggio che è anche una professione d'amore per tutto quanto è musica, armonia e pace. Da tali posizioni teoretiche discendono le conseguenze politiche che hanno fatto parlare di Marcel come di un uomo di destra e qualificare di destra anche il suo «esistenzialismo», agli antipodi di quello di Sartre. Egli, amante della pace, critica il pacifismo: «debbo essermi reso conto assai per tempo, anzi fin dal principio, al di fuori di ogni elaborazione concettuale, dell'impossibilità di fondare la pace su delle astrazioni. In ciò è da vedersi, secondo me, la ragione del fallimento della Società delle Nazioni e di tutte le altre pretensiose organizzazioni che le somigliano». Ed eccolo condannare il «conformismo di sinistra» che va denunciato, «non solo perché ha il vento in poppa, ma anche perché è in flagrante contraddizione coi principi che pretende difendere».

Gabriel Marcel è un filosofo affascinante e anche un eccezionale drammaturgo - ricordo due bellissimi drammi, Un uomo di Dio (1925) e Il mondo in frantumi (1933) - ma non va né letto né confuso con tanti esponenti della «letteratura della crisi» perché, pur criticandone certe derive, non demonizza il «mondo moderno».

Anzi, lo valorizza invitando al recupero dell'«umano» contro le suggestioni escatologiche.

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