Letteratura

Geminello Alvi, il Virgilio che ci guida nel tempo presente

Lo scrittore-economista firma una biografia del poeta dell'"Eneide" dove l'antichità e l'oggi si confondono

Geminello Alvi, il Virgilio che ci guida nel tempo presente

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Onore all'editore che pubblica un libro tale. Un libro così sfrenatamente aulico e anticommerciale. Un libro capace di cominciare così: «Questo e libro d'imitazione, non d'invenzione. Pascoli, i precisi commenti di Heinze e di Norden, gli studi di Boyance, le traduzioni di Albini e d'altri eruditi gli hanno molto giovato. Tuttavia quanto composto, malgrado accurata imitazione di versi e intenti, vive in altrove non realista». Ed è subito impatto con le vette e urgenza di Wikipedia: Norden, chi era costui? Boyancé o Beyoncé? Albini come l'architetto razionalista?

Geminello Alvi ha scritto l'autobiografia di Virgilio - Io Virgilio (Marsilio, pagg. 144, euro 16). Pur non essendo Virgilio, ovviamente, ma identificandosi col grande poeta latino e innalzandosi sull'Olimpo o altra sede delle Muse con la potenza della visione e della prosa. Il risultato è un'opera superba che potrebbe essere confrontata, tanto per cominciare, con le Memorie di Adriano di Marguerite Yourcenar. Libro meno anticommerciale sebbene non meno ammirevole, e dalla stessa lunghissima gestazione. Che Io Virgilio derivi da innumerevoli letture e riletture, da un impegno lungo una vita, risulta chiaro e comunque me l'ha detto l'autore al telefono, raccomandandomi il parto. Dopo poche pagine comincio a temere che la mia abituale definizione dello scrittore marchigiano, «uno dei massimi prosatori italiani viventi», stavolta suoni perfino riduttiva. Questo è il feudo dell'iperbato, il ducato dell'anastrofe, la costruzione anomala della frase come alto stile. È il dominio della prosa poetica, fitto di frasi che sembrano versi: «La notte talvolta ogni parola galleggia nell'aria attraverso». O forse che versi lo sono davvero ma per esserne certo dovrei mettermi a contare le sillabe, consultare il Manuale di poesia di Giuseppe Conte...

Che poi mi sta risultando perfino utile questo libro, se riferendosi a un testo sublime non suoni empio il concetto di utilità. A parte che, come dichiarato a pagina 7, è un «esercizio di calma», e la calma serve sempre, e non sempre melissa e valeriana bastano, e l'oppio citato a pagina 14 e a pagina 22 in erboristeria non si trova. Utile per colmare una grave lacuna geopoetica. Alvi è marchigiano (nato ad Ancona nel 1955) e pertanto non credo sia attratto dal vate mantovano per sentimentalismo territoriale. Invece la Bassa Lombarda è uno dei miei paesaggi aviti: fra la Casalmaggiore di mia madre e Mantova i chilometri sono pochi e le differenze modeste. Dunque mi rende doppiamente colpevole il non averlo mai veramente letto. Ossia mai letto per intero. Solo brandelli qua e là e tratti quasi solo dall'Eneide, per giunta spesso mediati e malmenati da traduttori datatissimi come Annibal Caro. Perché? Perché scelsi subito Orazio. A parte che un altro dei miei paesaggi aviti è il Vùlture, in Orazio trovai fin da ragazzo quanto mi serviva e mi piaceva, l'esistenzialismo, l'edonismo, l'elitismo, la noncuranza, il vino, il carpe diem. Cosa volere di più? Per anni anzi per decenni mi è sembrato che dedicarsi anche solo per il tempo di un'egloga a Virgilio sarebbe stato uno sgarbo, un'infedeltà. Dunque l'Eneide è rimasta lì nella lista dei libri da comprare, e molto in fondo, alla penalizzata alfabeticamente lettera V. Quindi Virgilio aveva bisogno della lettera A di Alvi, privilegiato alfabetico, per entrare nella mia vita. E ora è tutta una fusione biografica. Ad esempio in questo punto non so più chi parla: «Staccato dalle sorti d'Augusto e della stirpe, lui respira in sentire universale, come il mio molto turbato camminando tra gli avidi di prebende e sangue per Roma cosmopolita, dove il rito eestinto».

Geminello Alvi per il suo mestiere di economista frequenta la Capitale e di parassiti, di invasori, di increduli ne vede a frotte. Evidentemente ne è turbato. Il tempo antico e il presente si confondono: allora si smetteva di credere negli dei, oggi si smette di credere in Cristo. E la ruota delle religioni ricomincia a girare, si ricomincia a credere nella dea Terra, nel dio Animale, in un dio purchessia perché senza devozione non si può vivere, non si è mai potuto vivere, non si potrà mai vivere. A proposito, nel libro c'è il Virgilio ateo devoto: «Che gli dei siano vuoto rinforza la loro natura, e la mia pieta». E c'è il Virgilio profeta di Gesù, secondo la lettura medievale delle Bucoliche: «Io ero certo del fanciullo primigenio che sarebbe nato, e che per lui le querce avrebbero sudato miele». C'è un'ispirata descrizione del rito pagano celebrato dai druidi nel bosco, dedicato a Diana, affacciato sul lago di Nemi. Ma c'è inoltre l'amara, attualissima consapevolezza della fine del proprio mondo: «E che conta allora che io scriva il poema della religione di Enea, se nessuno rispetterale leggi del regno di Giove?».

Io Virgilio e io Geminello, mi viene da dire.

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