Politica

Il giallo di Vercelli, due nomi per un infanticidio

L’uomo e la ragazza, che fa la hostess a Malpensa, vivevano insieme soltanto da due settimane

nostro inviato a Vercelli
Misteri fitti e imbarazzanti. Piccole storie di provincia, di due province, che cominciano a Busto Arsizio e finiscono a Roasio. Che nascono da due storie di matrimoni finiti malamente e arrivano assieme al capolinea di una morte, fra le più dure da accettare: l’infanticidio. Temono, da queste parti, tra le case dai mattoni rossi che scottano sotto il sole di luglio, che Roasio, il piccolo paese del Vercellese, fino a ieri noto solo per i suoi vini rossi, diventi troppo in fretta una nuova Cogne. Anche se, diciamolo francamente, nel delitto di Matilda, 22 mesi, trovata senza più un soffio di vita dai medici dell’elisoccorso di Borgosesia quel pomeriggio di sabato 2 luglio, c’è meno scenografia, meno intrigo. Fors’anche meno pathos. Ma il sindaco, Ubaldo Gianotti, interpreta il pensiero dei suoi 2400 concittadini e avverte: «Qui si rischia di precipitare in una spirale negativa costruita sugli equivoci e i pettegolezzi». Già, ma qui non c’è solo una mamma che divide l’Italia tra innocentisti e colpevolisti, ci sono una madre, Elena Romani, 31 anni, che spartisce il peso dell’accusa più pesante con il suo convivente, Antonio Cangialosi. Una storia di verità contrapposte, o forse, più semplicemente, di mezze verità, che lascia a terra, inerme, una bimba di 22 mesi, Matilda Borin, uccisa, per errore o per raptus, in una di quelle casette di Roasio, da qualcuno che le ha spappolato fegato e reni in qualche dannato modo, lasciandole lividi sulla schiena e sul ventre. La conoscono appena a Roasio, Elena Romani. E l’unico che si sbilancia è ancora il sindaco: «Mi è sembrata davvero scossa per ciò che è successo, continuava a ripetere che non doveva accadere...». Elena aveva traslocato in casa del suo nuovo amico, soltanto pochi giorni prima della tragedia. Hostess di volo si era decisa subito dopo la nascita di Matilda, avuta dal suo ex marito, Simone Borin, a mettere tutti e due i piedi a terra, e a chiedere un periodo di aspettativa per accudire la piccola. Ma soprattutto per vederci chiaro, per guardar dentro la sua vita, dopo che quella che sembrava un’unione felice, con Simone, figlio di una dinastia bustocca di titolari di pompe funebri, era deragliato per una storia di droga che l’aveva travolto. Strana la vita, valla a capire la vita, se è vero come è vero che per chiarirsi le idee Elena si era buttata nella braccia di Antonio, detto Tonino, Cangialosi, 35 anni, ex buttafuori, ora operaio, che la sfortuna sembrava tirarsela addosso da quando aveva mosso i primi passi. Soltanto l’ultima, cinque anni fa. Che direste voi di un tipo che torna dalle vacanze e scopre il cadavere della moglie assassinata un mese prima dall’amante geloso, nascosto in una cassapanca sulla quale stava per sedersi? Storie di nera, che non diventano più pettegolezzi da strapaese, ma incubi da cui resta difficile uscire con equilibrio e serenità. Due passati abborracciati che si uniscono senza un perché, travolti da improbabile colpo di fulmine all’aeroporto di Malpensa e li spingono a sommare angoscia ad angoscia, tormenti a tormenti. Anche se c’è un evidente abisso estetico tra i due. Lui, ruvido e grossier, lei che ostenta fisico da mannequin, sottolineato da jeans e maglietta attillatissimi, e nasconde lo sguardo dietro grandi occhiali scuri à la page. Eppure. Eppure dal giorno del delitto, quando uno dei due ha colpito a morte Matilda, Antonio Cangialosi ed Elena Romani hanno camminato insieme, parlando all’unisono. Mano nella mano, fino all’ingresso del Palazzo di Giustizia di Vercelli. Fino ad avant’ieri sera quando, dopo sei ore di interrogatorio, sono usciti senza più nemmeno guardarsi in faccia, come due estranei. Prendendo due strade diverse, ma con in tasca lo stesso documento con cui i giudici comunicavano di averli indagati entrambi per omicidio. Al procuratore capo Giangiacomo Sandrelli e ai suoi sostituti Antonella Barbera e Muriel Ferrari che, a turno, li hanno interrogati e poi messi a confronto, Antonio ha ripetuto che «quando Elena mi ha affidato la piccola, Matilda stava già male, aveva appena vomitato, tremava». Mentre Elena: «Matilda si era già ripresa, sono uscita per stendere le lenzuola. L’ho affidata per qualche minuto ad Antonio e quando sono rientrata l’ho trovata in quelle condizioni». Ottimista l’avvocato, nonché parlamentare di An, Sandro Delmastro delle Vedove, che già aveva assistito Cangialosi cinque anni fa: «Ci sono versioni speculari su cui, mi auguro, la magistratura farà chiarezza quanto prima. E, anche se gli avvocati non dovrebbero mai dirlo: mi sento di mettere la mano sul fuoco quanto all’innocenza di Cangialosi».

Ma nei chiaroscuri dell’altra provincia, c’è anche un padre, Simone Borin, che grida la sua disperazione: «Ho diritto di sapere cosa è successo a mia figlia, era appena tornata dalle vacanze coi nonni, stava bene, era un bimba allegra...».

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