Politica

Il Gip: la mamma di Vercelli è senza freni inibitori

Nadia Muratore

da Vercelli

Camicia crème a righe sottili, calzoni bianchi, sandali ai piedi. Non si agita, gli occhi fissi sull’interlocutore, un sorriso dipinto sulle labbra rilassate. Cordiale, come si trovasse con un ospite a casa. Eppure da cinque giorni Elena Romani, hostess di 31 anni, abita qui, prima cella a destra, carcere di Vercelli. Porta aperta sul corridoio ma dietro le sbarre e per vicini le guardie di sorveglianza. È accusata di aver ucciso con un calcio la sua bambina di 22 mesi.
No davvero, vista così, questa donna dagli occhi accesi color carbone, capelli corvini sciolti e i modi delicati, non sembra davvero un’assassina. Roberto Rosso, sottosegretario al Welfare, le siede accanto. È venuto in visita ai detenuti, lei in questo momento è la reclusa per «eccellenza». Le parla, soprattutto ascolta.
È il nuovo giallo dell’estate questo, ancora una volta tragicamente simile a quelli che da Cogne in poi hanno scosso l’Italia. Lei si dichiara innocente, secondo l’accusa un’impronta di scarpa e un’intercettazione raccolta mentre parlava in auto ascoltando una canzone di Laura Pausini («Figlia mia, cosa ti ho fatto», avrebbe detto) la inchioderebbero. «Elena Romani - scrive il gip Emilia Antenore che l’altro ieri ha convalidato il fermo sposando la tesi della Procura -, mostra una personalità fragile e violenta non in grado di affrontare con razionalità e coerenza situazioni stressanti. Non solo, c’è anche il pericolo di fuga e di reiterazione del reato». Si ribellano gli avvocati Roberto Scheda e Tiberio Massironi. Che anticipano di voler ricorrere al Tribunale della libertà. La loro linea difensiva mira a dimostrare che la loro assistita il giorno della tragedia non indossava le scarpe. E che quindi non sia stata lei a colpire la piccina nella casa di Roasio dove era andata a trovare il fidanzato. Come detto dagli avvocati «una scarpa può anche non essere calzata».
Sembra quindi che la difesa della hostess si aggrappi a quel paio di décolleté rosa che sono state trovate nel garage di casa e sequestrate dai carabinieri di Vercelli. Si tratta di calzature molto particolari in quanto riportano una decorazione «a mezza luna sulla suola che secondo gli inquirenti è compatibile con l'ecchimosi riscontrata sulla schiena della bambina. Antonio Cangialosi, il compagno di Elena Romani (pure lui indagato per omicidio), in un primo momento aveva detto che la donna indossava degli zoccoli. Poi durante un secondo interrogatorio, pur ammettendo di non ricordare con esattezza, aveva cambiato versione ammettendo che Elena quel giorno indossava una maglia rosa di solito abbinata alle scarpe di vernice dello stesso colore. Secondo i legali la vicenda è ancora aperta. «Le contestazioni che vengono mosse alla nostra cliente - hanno aggiunto - sono tutte ancora da chiarire. Quando avremo la documentazione della Procura potremo essere più precisi, ma dalle famose scarpe rosa alle intercettazioni ci sono molti aspetti che si possono leggere in modi diversi. Che ci debbano essere dei chiarimenti - hanno precisato - è dimostrato anche dal fatto che la Procura ha presentato le stesse nostre richieste per l'incidente probatorio». Intanto, nonostante la prigionia, lei tuttavia appare serena. «Straordinariamente serena - puntualizza il sottosegretario Rosso -. Abbiamo chiacchierato come fossimo due amici che si incontrano al bar. Mi ha parlato del suo lavoro, della sua vita da donna separata. Nulla su Matilda. Le ho chiesto se è credente.

Mi ha risposto di sì e le ho detto che c’è tanta gente che prega per lei. Ho provato a farle coraggio, le ho ripetuto che per lei ci sarà ancora un futuro. Ha taciuto per un attimo. Ha rivolto lo sguardo alle sbarre: “Da qui è un po’ difficile vederlo”. Mi ha salutato così».

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