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Al lavoro sulla riforma dell'Irpef: il piano del governo per tagliare le tasse

L'esecutivo è determinato nel puntare su un salvadanaio per confermare la sforbiciata delle tasse anche per i prossimi anni. Così aumenteranno le buste paga degli italiani

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La strada imboccata dal governo Meloni è inequivocabile: tagliare le tasse e ridare fiato agli italiani, in particolar modo alle fasce più colpite dai rincari generalizzati, oltre che rafforzare il potere d'acquisto a vantaggio delle famiglie. La manovra economica si muove proprio su questo sentiero e l'esecutivo è già al lavoro per confermare le importanti misure anche per il 2025. La volontà sarebbe, infatti, quella di mettere da parte un tesoretto da poter spendere per la prossima Legge di Bilancio, mettendo nero su bianco le riforme di sostegno che entreranno in vigore dal 2024.

In particolare gli occhi sono rivolti verso la rimodulazione delle aliquote Irpef, un passaggio cruciale che ha assunto un ruolo centrale nella manovra. Al momento la riforma fiscale è prevista solamente per un anno ma, come riferito dal Messaggero, il governo non vuole affatto tornare indietro nel 2025 ed è pertanto determinato nel puntare su una sorta di salvadanaio che potrebbe rivelarsi utile per finanziare la conferma della norma per gli anni successivi. Le cifre da accantonare corrisponderebbero a 3,5 miliardi di euro per il 2025 e circa 2,7 miliardi l'anno a partire dal 2026.

La riforma Irpef rientra tra le assolute priorità del governo guidato da Giorgia Meloni. Il motivo? Saranno lampanti e immediati gli effetti sulle buste paga, che saranno più corpose e che potranno giovare - oltre che del taglio del cuneo fiscale - dell'intervento sulle aliquote. Un combinato disposto che consentirà di incrementare in maniera notevole lo stipendio dei contribuenti, con aumenti fino a 1.430 euro all'anno.

Le novità sull'Irpef prevedono la riduzione di due punti (dal 25% al 23%) dell'attuale aliquota del secondo scaglione (redditi tra 15mila e 28mila) che di fatto viene allineata a quella del primo. Di conseguenza, attraverso l'accorpamento dei primi due, gli scaglioni di imposta passano da quattro a tre. Nessuna novità invece per le aliquote applicabili agli scaglioni di reddito superiori: il 35% tra 28mila e 50mila euro e il 43% oltre 50mila euro.

A tal proposito nel documento dell'Ufficio parlamentare di Bilancio viene delineato uno scenario che evidenzia gli effetti sul reddito disponibile della rimodulazione delle aliquote e della detrazione per lavoro dipendente. Il beneficio ammonta a 75 euro per i redditi fiscalmente capienti fino a 15mila euro. Al crescere del reddito la riduzione dell'aliquota produce un beneficio superiore: a partire da circa 18.700 euro torna a superare 75 euro, per raggiungere 100 euro attorno a 20mila euro e attestarsi a 260 euro per i redditi superiori a 28mila euro.

Da dove attingere i famosi 3,5 miliardi di euro per il prossimo anno e per quelli a seguire? Lo schema di decreto legislativo prevede l'abolizione dell'incentivo alla capitalizzazione denominato ACE: si tratta di una deduzione, introdotta nel 2011, che si pone l'obiettivo di ristabilire la neutralità fiscale della tassazione del reddito di impresa rispetto alle fonti di finanziamento. I soldi risparmiati finiranno nel salvadanaio, che però dovrà essere rimpinguato con altri interventi.

Alla volontà del governo di confermare la misura per il futuro dovrà seguire una copertura strutturale. I decreti attuativi fanno luce sul sistema fiscale individuando risorse che potrebbero essere utilizzate a tal fine, fermo restando che l'abrogazione dell'ACE e dell'Imposta minima nazionale non sono sufficienti. Un aiuto potrebbe arrivare dagli effetti della Global minimum tax sulle multinazionali e dal concordato preventivo biennale, l'accordo tra il Fisco e le Partite Iva.

La rotta è chiara: proseguire nel taglio delle tasse agli italiani.

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