Cronaca locale

Gran vía: alla scoperta dei talenti iberici

Ha fondato Gran vía editrice ma non perché credesse di aver imboccato una strada semplice: Fabio Cremonesi, milanese, 39 anni, ama le sfide e ha messo in conto anche qualche sano rischio imprenditoriale quando nel 2005 rassegnò le dimissioni, dopo undici anni di apprezzato servizio in una multinazionale della telefonia mobile, lasciando il suo comodo scranno da dirigente per accomodarsi a una scrivania d-it-y («Do it yourself», montatela da solo!) e inventarsi editore.
Dopo una laurea «inutile e bellissima» in arte medievale e un posto così fisso da fargli cambiare, negli ultimi sei anni, dieci città e altrettante latitudini, Cremonesi si è ricordato di quando da studente passava dal lavoro di scaricatore a quello di receptionist di call center e di traduttore per arrotondare. E ha avuto un'idea: complice l'ennesima richiesta di cambio di indirizzo e numero civico. Ormai parlava tre lingue e ne capiva bene altre due, una versata competenza nel marketing, ma soprattutto la sua totale ignoranza nel mondo dell'editoria avrebbero fatto di lui un potenziale, ottimo... editore. Nasce così Gran vía, dal nome di una fermata della metropolitana di Madrid, così come la prima collana, m30, ricorda il nome della tangenziale madrilena. Perché se la Spagna ha scoperto lui, offrendogli ottime occasioni professionali, ora Cremonesi si sdebita facendosi un po’ Pigmalione e un po’ Mecenate di nuovi talenti iberici. «È un amore infedele o meglio plurale - spiega l'editore -. Traduciamo autori contemporanei non solo dal castigliano ma anche dalle altre lingue co-ufficiali della Spagna: catalano, galiziano e basco». A gennaio 2006, per rompere il ghiaccio, Cremonesi scelse Miguel Albero e i suoi Principianti, inventario di inizi senza lieto fine. Se dagli scaffali del suo cuore non mancheranno mai I promessi sposi, Splendore e miserie delle cortigiane (Balzac), Memorie di Adriano (Yourcenar), Vittorini (un po' di) Busi, Gadda, Cervantes, Martín Gaite, Marce e Rivas, Cremonesi ha ben chiaro anche il target dei suoi lettori: «Più lettrici - precisa -: colte, 25-40 anni, in cerca di punti di vista leggeri e ironici, mai banali». Copertine originali, formato quasi quadrato, prezzo scritto a parola, nella selva delle librerie, grandi catene o piccole botteghe, i libri di Cremonesi hanno trovato «lo spazio che meritano». Fin da quando, per il lancio, Gran vía fu ospitata in Piazza Aspromonte da Feltrinelli: «Oggi siamo presenti o ordinabili in tutta Italia, ma mi stupirei di vedere campeggiare i nostri libri al centro della vetrina di Natale: dubiterei io stesso di quel negoziante». Per una casa editrice di nicchia, che però sogna un futuro come Iperborea per il Nord o Voland per il mondo slavo, non sono poca cosa quella ventina di libri che arrivano ogni settimana e che se ne stanno impilati su una sedia rossa in attesa di vaglio. La struttura di Gran vía è snella: Cremonesi seleziona i castigliani, mentre a Barcellona, Bilbao e La Coruña lo scouting è affidato a esperti nel mondo accademico, docenti o specializzandi.
A maggio 2007 accanto alla narrativa spagnola è arrivata la seconda collana, Ratafià, «che aiuta a digerire il Bel Paese con una lingua bizzosa e picaresca»: è il debutto della poesia e della lingua italiana, con il milanese Giorgio Somalvico e il suo Il pecora, poemetto in due deliri.
Nel 2008, però, la terza collana tornerà a parlare spagnolo, anzi spanglish, con una selezione di scrittori sudamericani che si trovino per varie ragioni a una frontiera linguistica, culturale, geografica o anche personale.

Fino ad allora Gran vía ha però già in serbo un titolo al mese: in autunno arriva un romanzo sulla guerra civile del basco Ixiar Rozas, poi toccherà a Jaime Miranda, con le disavventure di un consulente informatico ne Non sono qui per farmi degli amici, quindi a Maria Raimondez con un romanzo corale e tante storie di donna radunate ne Il club della calzetta. La via, dunque, grande o piccola è segnata: «Noi pubblichiamo ciò che altrimenti in Italia non si trova e che soprattutto non si scrive».

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