Politica

La grande sfida di Muccioli L’amico dei disperati che prendeva a calci l’eroina

Dieci anni fa moriva l’uomo che è diventato il simbolo della lotta alla tossicodipendenza

Gabriele Villa

«Per prima cosa dovete avere ben chiari i fatti; così potrete distorcerli come vi pare». È poco probabile che Mark Twain, titolare della frase citata, abbia conosciuto personalmente Vincenzo Muccioli. Eppure, a dieci dalla morte del fondatore di San Patrignano, sembra proprio che l'ispirazione per quella frase gli sia venuta guardando, con gli occhi disincantati dello scrittore ironico, quella comunità adagiata sulle colline del Riminese. Tempio del rinascimento morale e fisico dalla palude della droga, sorto giusto a pochi chilometri da alcuni dei più celebri luoghi dello «sballo».
I fatti, dunque. Distorti per quanto possano essere stati ad opera di detrattori, magistrati e cialtroni vari, i fatti sono che nel 1978 all'agiato, ma irrequieto titolare, anzi contitolare, assieme alla moglie Antonietta dell'albergo Stella Polare di Rimini, venne in mente di avventurarsi sul difficile sentiero della solidarietà, utilizzando, in proposito una tenuta di famiglia sulle colline romagnole. Poca roba, intendiamoci. Una casetta, un po'di terra, un pollaio. Non c'erano certo le 228 camere da letto, non c'era la cucina che ospita fino a 2.500 persone, il centro medico per i malati di Aids, la scuderia dei cavalli. E ancora non erano sorte quelle 60 casette monofamiliari e bifamiliari dove oggi vivono le famiglie che si formano nella comunità. Allora c’era ben poco. Ma quanto bastava, e puntualmente bastò per accogliere i primi ragazzi in fuga dall'eroina. Un solo ordine del giorno, un solo programma di lavoro, rimasto lo stesso fino all'ultimo respiro di Vincenzo: «Tutti i consumatori di droghe diventano tossicodipendenti e tutti i tossicodipendenti muoiono. Le persone che vanno a San Patrignano debbono essere salvate dalla morte pertanto ogni mezzo è lecito per liberarle dalla droga». Il modello San Patrignano, contro il metadone, contro la legalizzazione della cannabis, contro qualunque altro compromesso diventò per i suoi estimatori la sola ricetta valida per risolvere il problema della tossicodipendenza.
Ma quell'espressione «con ogni mezzo» procurò un sacco di guai a Muccioli. A cominciare da un processo, nel 1984 in cui Muccioli fu accusato di mettere in catene alcuni ospiti per aiutarli a fronteggiare le crisi di astinenza. E ancora nel 1993, quando San Patrignano si trovò al centro di un giallo per la morte di Roberto Maranzano un ospite della comunità morto nel 1989 in un rissa nel reparto macelleria. Si scoprì che Muccioli era al corrente di tutto, ma non aveva denunciato i responsabili. Venne condannato, pena sospesa, in primo grado, il 20 novembre 1994 a otto mesi per favoreggiamento personale. Due tra i più significativi episodi di una carriera della solidarietà sviluppatasi sotto l’occhio, fin troppo scrupoloso della magistratura. Poco importa se la Cassazione confermò la sanzione disciplinare, perché il suo comportamento attraverso una notevole forzatura del dato normativo è stato tale da far ritenere che avesse voluto personalizzare la funzione giurisdizionale tanto da esporsi all'accusa di persecuzione nei confronti di San Patrignano» nei confronti di Vincenzo Andreucci il giudice riminese che in 15 anni mandò sotto processo per ben tre volte Muccioli. Poco importa perchè i metodi, rudi o no, di Muccioli era già diventati popolari. E potevano contare su migliaia di sostenitori e decine di amici fidati. Persino sull’Onu che riconobbe San Patrignano, come organizzazione non governativa accreditata al Palazzo di vetro. Intanto San Patrignano cresceva. Gli ospiti della comunità, 200 nel 1982 erano già 1600 nel 1993, ora sono 1800. Nonostante soprusi e calunnie. Per il semplice motivo che Muccioli era più forte del sopruso e della calunnia. Instancabile nella sua perseveranza: giornate di venti ore, mai in un ventennio una sola giornata di vacanza e di svago. E oggi? «Oggi lui è con noi - dice Andrea Muccioli -.

Ne sentiamo in ogni momento la sua presenza, il suo messaggio: “Credete nell'uomo, anche e soprattutto quando pare che la droga, la vita l'abbia trasformato per sempre in bestia perché l'ultimo può tornare primo se gli si dà fiducia e forza”».

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