Guerra in Ucraina

Al fronte tra i volontari stranieri filorussi. "Noi, da anni all'inferno tra le bombe"

Viaggio ad Avdivka con la brigata Pietnashka: "Mi sono arruolato per difendere il mio Paese, ma siamo in stallo: avanziamo e poi indietreggiamo."

Al fronte tra i volontari stranieri filorussi. "Noi, da anni all'inferno tra le bombe"

Avdivka. La vecchia e acciaccata Bukhanka avanza in un tratturo di fango e ghiaccio. L'anziano furgone a forma di pagnotta - sfornato negli anni sessanta dagli stabilimenti sovietici della Uaz - ha molti più anni dei tre soldati accovacciati nel suo pianale. E non è stata certo progettata per questi sentieri di guerra. «Ma per arrivare vivi in trincea meglio lei di un carro armato», giura Ivan mentre si stringe l'elmetto al mento e indica il cielo. Il suo incubo, ed il nostro mentre muoviamo su questo rottame ambulante, sono i micidiali droni ucraini a quattro eliche «Con questa - ci illude Ivan - possiamo sembrare civili e farla franca. Con un blindato gli ucraini ci avrebbero già fatti secchi con missile o un colpo da 155». Fingiamo di credergli, ma è una penosa bugia. Il centro di Donetsk, capoluogo dell'omonimo territorio filo-russo, è 14 chilometri alle nostre spalle. E un chilometro fa abbiamo passato l'ultimo posto di blocco. Quello oltre il quale si muovono solo i militari diretti alle prima linea di Avdivka. Dunque neppure la Bukhanka può regalarci molte garanzie. Per capirlo basta sbirciare dai finestrini incrostati di fango e brina. Centro metri più avanti, riposano i rottami dilaniati di due furgoni come il nostro. «Una settimane fa non c'erano», urla Viktor, il traduttore russo che c'accompagna. Ivan volta la testa dall'altra parte, finge di non sentire. Ora il sentiero s'infila in una macchia di betulle dove razzi e cannonate hanno fatto strage di rami e tronchi aprendo voragini. Tutt'attorno riecheggiano i colpi di artiglieria. Un blob ovattato per quelli in uscita, un fragore sismico e una scossa che scuote cuore e budella per quelli in arrivo. Ivan indica il punto in cui la sopraelevata di asfalto converge sopra la macchia di betulle, mentre l'autista, piegato su volante e acceleratore, fa planare l'acciaccato furgone sul tratturo di neve e melma. La salvezza è una spianata disegnata tra i piloni di cemento della vecchia autostrada. Mentre i colpi di mortaio e le sventagliate di mitragliatrice riecheggiano sopra le nostre teste la Bukhanka ci scarica davanti ad un bunker scavato sotto la sopraelevata. Le prime linee ucraine sono quattrocento metri oltre l'autostrada. «Italiano, benvenuto all'inferno», mi saluta il soldato Sasha. Ha 27 anni, il volto coperto da un passamontagna e il pugno stretto intorno ad un Ak 12 con silenziatore. Combatte qui da un po', ma non ha scordato l'italiano imparato a Padova. «Mio padre ci ha lavorato sino al 2014 quando siamo tornati a Mosca a causa delle sanzioni». Sasha non c'è rimasto molto. «Se non difendiamo il nostro popolo in queste terre tra non molto lo dovremo difendere combattendo la Nato intorno alla nostra capitale. Per questo mi sono arruolato volontario. Ho scelto questo fronte perché dal lato ucraino di queste linee partono i missili Grad e Himars che fanno strage di civili a Donetsk. Ma anche perché qui mi son potuto unire alla Pietnashka la brigata di volontari russi e delle ex-repubbliche sovietiche che combatte qui fin dal 2014». Per capire cosa sia la Pietnashka basta un occhiata ai soldati accovacciati sotto i piloni di cemento dell'autostrada e il tetto di asfalto battuto dalle raffiche di mitragliatrice e dai colpi d'artiglieria. A fianco di Sasha riposano un circasso dagli occhi a mandorla, un abkhazo e un altro russo. La leggenda vuole che la Pietnashka, la «Brigata dei cinque» sia stata fondata nel 2014 dal comandante Akhra, un combattente di origine abkhaza e da altri quattro volontari. Di certo ha fatto la storia di un fronte dove si muore e si combatte da quasi nove anni. Un fronte su cui neppure l'intervento russo ha cambiato la situazione. «Sono qui sin dall'inizio e da allora non facciamo altro che avanzare o indietreggiare», racconta Serge un 38enne volontario francese veterano di queste linee. E ancora meglio te lo raccontano gli occhi sgranati di Stanislav, un volontario appena rientrato da un avamposto scavato appena oltre la sopraelevata. «Ero lì da stamattina...

e come ogni giorno ho visto la morte in faccia».

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