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"Traditi su Gaza, nel 2024 non lo votiamo": la minoranza islamica in rivolta contro Biden

La comunità di elettori dem arabi e musulmani critica la scelta del presidente di appoggiare Israele e si preparano a non votare per lui il prossimo anno. E così ora l'ex di Obama rischia negli stati chiave

"Traditi su Gaza, nel 2024 non lo votiamo": la minoranza islamica in rivolta contro Biden

La guerra in Israele e l’escalation di Tel Aviv a Gaza può costare la Casa Bianca a Biden? Forse. E no, non si tratta di una provocazione. Il caos esploso il 7 ottobre con il violento blitz di Hamas rischia di avere effetti anche negli Stati Uniti. Un impatto che non ha tanto a che fare con l’emergenza in sé e con l’offensiva di Israele su Gaza. O meglio ha a che fare con gli effetti che queste suscitano nelle comunità americane.

Nelle ultime due settimane si è consumata una grossa lacerazione tra l’amministrazione Biden e le minoranze musulmane e arabe che da sempre costituiscono un bacino elettorale per il partito democratico. Non a caso lo staff del presidente ha avuto una settimana molto impegnativa fatta di colloqui con gli esponenti di queste comunità. Ma non solo. Qualche malumore è arrivato dagli stessi membri dell’amministrazione. Come ha scritto il Washington Post, che ha sentito diversi rappresentati delle minoranze e dello staff presidenziale, i malumori non mancano. Una fonte anonima ha ammesso: “Il tema è delicato, molti chiedono una risposta a una domanda chiave: abbiamo a che fare con dei guerrafondai, o con degli operatori di pace?”.

"Biden ha perso il nostro sostegno"

La domanda nei fatti va a pungolare Biden nel suo appoggio a Israele. Il momento più difficile per arabi e musulmani americani è arrivato quando Joe Biden ha detto apertamente di non potersi fidare dei numeri sulle vittime palestinesi del conflitto. Per molti americani di origine araba e palestinese la posizione del presidente è stata vissuta come uno schiaffo, come se il mondo arabo fosse di base bugiardo. La Casa Bianca, e i membri dello staff preposti a dialogare con queste comunità, hanno ribadito che il presidente è impegnato nel dialogo con tutti.

Un po’ poco sostengono i critici più forti. E infatti diversi esponenti del mondo arabo-islamico americano hanno risposto in modo infuriato alla posizione di Biden. Sui social in molti sono intervenuti con una minaccia non tanto velata: il presidente ha perso il nostro sostegno, valutiamo seriamente la possibilità di boicottare il voto democratico alle elezioni del 2024. Non a caso in molti hanno chiesto di far saltare questi colloqui, ma alla fine un primo incontro è avvenuto al 1600 di Pennsylvania Avenue. La stampa americana ha scritto che comunque lo strappo non si è ricucito e le divisioni sono rimaste. Diversi esponenti sentiti dal Post hanno descritto l’incontro e la posizione della Casa Bianca come un fattore destabilizzante.

palestina washington
Manifestazione pro Palestina a Washington

La parola più usata è stata “isolamento”, inteso come un'incapacità di stare in un partito che non li rappresenta più. Per loro, dicono in molti, i dem erano stato il luogo in cui rifugiarsi dal radicalismo di Trump. Maya Berry, direttrice del think tank Arab American Institute, non ha usato mezze misure: “Il calcolo politico secondo cui nel 2024 questi elettori si saranno dimenticati di tutto è sbagliato. Queste comunità hanno lavorato per la pace nella regione, non dimenticheranno quello che ha fatto la Casa Bianca”.

La decisione di procedere a colloqui mirati è tutto fuorché un esercizio di semplice cortesia istituzionale. Ad esempio si è tenuta una maxi riunione interna - c’è chi parla di 70 persone - che ha coinvolto decine di funzionari dei vari dipartimenti del governo, inclusi membri delle agenzie di intelligence. In questi colloqui molti funzionari di origine musulmana e araba, hanno raccontato di aver subito pressioni perché si dimettessero.

In generale, hanno notato in molti, il modo in cui la Casa Bianca ha gestito i colloqui è stato un mezzo fallimento. Tra gli esponenti scelti per gli incontri c’era un solo palestinese e moltissimi attivisti hanno chiesto di boicottare tutto. Il 20 ottobre Biden ha tentato di mettere una pezza tenendo un discorso dallo Studio Ovale e denunciando islamofobia e crimini d’odio crescenti in America, e ricordando anche la morte di una bimba di sei anni, Wadea Al-Fayoume, uccisa a coltellate in Illinois. Il presidente ha detto di avere “il cuore spezzato” per le perdite umane in Palestina, e che “non si possono ignorare quei palestinesi che vogliono solo vivere in pace e avere opportunità”. Un appello che però non ha convinto molti.

Lo scenario da incubo in Michigan

Ma al di là delle sgrammaticature istituzionali e di una gestione non impeccabile del dossier, quanto può pesare questa spaccatura tra dem e mondo musulmano americano? Non poco in realtà. Per capirlo bisogna spostarsi da Washington e fare tappa in Michigan. “Guardando quello che succede a Gaza e ascoltando le parole di Biden, come posso dire a qualcuno di votare per lui?”, a parlare è Sam Baydoun, un commissario di origine libanese eletto tra i democratici a Dearborn, cittadina da 100 mila abitanti non lontano da Detroit.

Dearborn fa parte della contea di Wayne che ospita una delle comunità musulmane più numerose d’America. Lì, tra vetrine e insegne arabe, diversi sono anche stati eletti in posizioni importanti. La stessa Dearborn è guidata da Abdullah Hammoud, sindaco dem musulmano.

Secondo Nada Al-Hanooti, un'organizzatrice di campagne elettorali a Dearborn, nel 2020 in tutto il Michigan c’erano almeno 200mila elettori musulmani. Un blocco elettorale interessante se si tiene conto che gli aventi diritto nello Stato sono circa 8 milioni. “Alle presidenziali del 2020 la comunità musulmana è stata determinante per mandare Biden alla Casa Bianca”, ha detto Al-Hanooti che oggi lavora per un’organizzazione denominata Emgage che si occupa di rafforzare il potere politico dei musulmani.

Bastano un po’ di conti per capire bene quanto questa situazione sia delicata per i democratici. Nella sfida contro Donald Trump nel 2020 Biden si è imposto in Michigan con circa 155mila voti, un margine buono ma non incolmabile se si pensa che solo quattro anni prima, nel 2016, The Donald si era preso il Great Lakes State con uno scarto di 10mila voti su Hillary Clinton. Sempre nel 2020 gli elettori musulmani hanno partecipato attivamente e secondo una valutazione di Emgage almeno 145mila di loro hanno votato. Stando a un sondaggio commissionato dal Council on American-Islamic Relation, circa il 69% degli elettori di fede islamica nel 2020 ha scelto Biden. Se proiettiamo questa percentuale solo sul Michigan viene fuori che si tratta di circa 100mila voti. Un bottino di tutto rispetto che può fungere da ago della bilancia.

Un uomo mostra il corano e protesta contro Israele davanti alla Casa Bianca
Un uomo mostra il corano e protesta contro Israele davanti alla Casa Bianca

Durante la presidenza Trump i musulmani americani e gli elettori di origine araba si sono spostati sempre più verso il partito democratico. La retorica incendiaria del tycoon, il muslim ban e il riferimento all’islam radicale hanno convinto molti di loro ad andare alle urne, non tanto per sostenere Biden quanto per sfrattare Trump dalla Casa Bianca. Insomma, il voto di questa minoranza fu uno dei tanti piccoli referendum su Trump piuttosto che un’espressione di sostegno diretto all’ex vice di Barack Obama.

Il problema ora, dicono molti musulmani del Michigan, è che l’aperto supporto della Casa Bianca a Israele viene vissuto come una svolta islamofobica dell’amministrazione. “Molti di noi”, dice Al-Hanooti, “non si sentono sicuri”. “Ho fatto campagna per Biden, ero convinto che fosse il candidato giusto, compassionevole e umano. Adesso non lo distinguo da Trump”. A parlare è Abusalah, 22 anni, attivista di sinistra e oggi funzionario del governo locale in Michigan. Abusalah racconta che la sua comunità è preoccupata, spaesata e soprattutto non si riconosce più in Biden.

Questa delusione e questa rivolta contro la posizione della Casa Bianca, che ha appoggiato senza se e senza ma Tel Aviv, che esiti potrà avere sul piano elettorale? Il voto di protesta. In molti, infatti, si dicono pronti a votare scheda bianca. Osama Siblani, editore della rivista The Arab Amercian News, ha raccontato al New York Times che in molti si preparano a “lasciar vincere Trump”.

Una veglia per Gaza

Lo stesso giorno in cui la Casa Bianca tentava di correre ai ripari incontrando esponenti delle comunità arabe e musulmane, nella sede della University of Michigan di Dearborn si è tenuta una veglia per Gaza. Studenti hanno acceso candele e sfilato contro i raid di Israele. Hani J. Bawardi, docente di Storia e Identità arabo-americana, ha tenuto un breve discorso e ha arringato gli studenti: “Sono qui per non farvi sentire soli”.

Parlando con la stampa Bawardi ha detto che moltissimi dei suoi studenti non hanno mai votato alle presidenziali e in molti chiedono a lui chi votare. “Credo che alla fine molti di loro verranno attirati da un terzo partito", spiega, "arriveremo a una situazione simile a quella di Ralph Nader nel 2000”. Il riferimento è al candidato di sinistra che raccolse poco più di un milione di voti con il “Green Party”.

Sempre più americani immaginano una politica post-Trump e post-Biden. E ora anche le minoranze iniziano a chiedere qualcosa di diverso. La guerra in Israele ha aperto spaccature profonde nella società americana, tra le varie minoranze e tra queste minoranze e la Casa Bianca. Per ora si tratta di malumori e manifestazioni.

E a un anno dal voto è presto per trarre conclusioni drastiche, ma un aspetto diventa sempre più certo: la grande coalizione di elettori che regalò a Biden la Casa Bianca perde un pezzo ogni giorno che passa.

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