Guerra in Israele

Le richieste Usa, le "zone sicure" e le operazioni a sud: come riprenderà la guerra

Le autorità israeliane hanno assicurato la ripresa del conflitto con Hamas allo scadere del cessate il fuoco. Il pressing degli Usa, però, costringerà le Idf a comportarsi diversamente

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La tregua tra Israele e Hamas è stata prorogata fino a mercoledì, ma lo Stato ebraico ha fatto chiaramente intendere che non si tratta di una sospensione definitiva dei combattimenti. Il premier Netanyahu, infatti, ha affermato che “continuiamo con gli obiettivi centrali che ci siamo prefissi: compiere il rilascio degli ostaggi, eliminare Hamas, e assicurare che questa minaccia non si ripeta a Gaza”. Gli ha fatto eco il ministro della Difesa Yoav Gallant, che ha promesso “combattimenti più grandi in tutta la Striscia”.

La conduzione della campagna di terra da parte delle Idf, però, subirà dei cambiamenti soprattutto nella parte sud dell’exclave palestinese. Gli Stati Uniti, infatti, hanno raccomandato a Israele di non provocare “spostamenti ulteriori della popolazione” quando inizieranno le operazioni militari in quella zona. La Casa Bianca ha confermato che Tel Aviv si è dimostrata “ricettiva” su questo punto, ed è quindi probabile che i combattimenti nel sud avranno un’intensità minore o concentreranno solo in aree specifiche, senza una prima fase di intensi bombardamenti come successo a Gaza City.

Washington, inoltre, ha dichiarato la sua intenzione di istituire zone di deconfliction, ovvero “spazi predisposti dall’Onu in cui nessuno verrà costretto a spostarsi contro la propria volontà, create perché inevitabilmente vi sarà un movimento di persone”. Aree sotto l’egida delle Nazioni Unite, dunque, in cui la popolazione e i funzionari dell’organizzazione e delle varie Ong dovrebbero essere al sicuro. Vi è però la possibilità che i terroristi di Hamas le usino come basi, in una replica della situazione già vista nei vari ospedali della Striscia. Uno sviluppo in tal senso costringerebbe le Idf a intervenire, con tutte le conseguenze a livello di possibili perdite civili e di reazioni internazionali.

Gli Stati Uniti hanno anche affermato di voler mantenere stabile l’afflusso di aiuti umanitari nella Striscia. Da quando è scattata la tregua, sono entrati nell’exclave più di 200 camion al giorno. L’amministrazione Biden vorrebbe iniziare ad inviare anche beni commerciali, ad un ritmo di 300-400 carichi ogni 24 ore. Questo, però, richiederà ispezioni da parte delle autorità israeliane, che hanno già negato l’utilizzo del valico di Kerem Shalom finché gli ostaggi non saranno liberati.

Per quanto riguarda le operazioni nel nord della Striscia, la situazione dovrebbe rimanere invariata. La maggior parte dei civili ha lasciato l’area nelle scorse settimane e le Idf hanno messo in sicurezza ampie porzioni del territorio in preparazione all’avanzata successiva. I giorni di cessate il fuoco, però, avranno permesso ad Hamas di riorganizzarsi e dislocare altre forze nell’area.

È probabile, dunque, che si assisterà ad un’altra serie di intensi attacchi aerei, in modo da “ammorbidire” le roccaforti dei terroristi prima di nuove manovre delle forze di terra.

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