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I big scoprono la pensione d’oro a stelle e strisce

I big scoprono la pensione d’oro a stelle e strisce

Del Piero? Sogna gli Stati Uniti. Il futuro di Drogba? È a stelle e strisce. Owen pensa di trasferirsi a New York e Ballack a Boston. In lista d’attesa il gotha di un viale del tramonto griffatissimo (Guti, Rio Ferdinand, Abidal, Cambiasso, Nesta, Toni, Inzaghi, Totti, tra gli altri). L’Eldorado si chiama Major League Soccer, un tempo vituperato torneo da dopo-lavoro, oggi realtà in piena evoluzione. E pensare che in principio fu l’Anaheim Stadium, impianto concepito per il baseball ma rivisitato per far rotolare una sfera di cuoio. Peccato che ogni tanto il pallone rimbalzasse in maniera irregolare sfiorando i quadrati di tela o di plastica bianca delle basi. Su quel diamante si esibiva il capitano del Brasile Carlos Alberto, stella dei California Surf, una delle squadre pionieristiche a stelle e strisce. Correva l’anno 1978, e i tifosi non riuscivano a digerire il divieto di giocare con le mani e il pareggio. Dalle ceneri di un torneo ironicamente ribattezzato dai tedeschi «operettenliga» si è innescata la rivoluzione che ha trasformato il calcio, soprattutto dopo i mondiali del 1994, in un fenomeno che rastrella proseliti giorno dopo giorno.
Tre in sostanza i fattori della svolta: il boom nei college, che consente un continuo ricambio generazionale, l’approdo di calciatori di riconosciuto valore mondiale come David Beckham (nella foto) o Thierry Henry, e per finire il lockout del basket, che sta dirottando l’attenzione degli appassionati verso una disciplina non più ad uso e consumo di immigrati spagnoli, italiani e irlandesi. Nel 2011, dati alla mano, gli introiti hanno raggiunto i 700 milioni di dollari. In poco più di 15 anni le squadre sono passate da 10 a 18, in attesa dell'arrivo di Montreal e del ritorno romantico dei Cosmos New York rivitalizzati dal ribelle Eric Cantona.
I dati riguardanti ad esempio il pubblico delle ultime due stagioni sono eloquenti: la Mls supera Nba e Nhl, con più di diciottomila spettatori di media per ogni match. E se in origine, come per i Surf, le squadre giocavano in impianti dedicati ad altri sport, dal 1999 sono sempre più numerosi i team che costruiscono stadi di proprietà da utilizzare in via esclusiva per il soccer. Iniziarono i Columbus Crew dell’Ohio, seguiti a ruota dai Los Angeles Galaxy (Home Depot Center), dal Pizza Hut Park di Dallas nel 2005, fino ai Portland Timbers con l’avveniristico Jeld-Wen Field. La Lega, che gestiva tutte le squadre attraverso l’Anshutz Entertainment Group, ora mantiene solo i Galaxy di Beckham e gli Houston Dynamo, le altre franchigie possiedono proprietari che riescono a strappare contratti milionari da colossi del calibro di Microsoft e Volkswagen. Senza trascurare gli introiti provenienti dai diritti televisivi: Espn, Fox e Abc non detengono più il monopolio. Ai loro 30 milioni annui si devono aggiungere i 40 stanziati da Univision, Galavision, TeleFutura per la trasmissione delle partite in lingua spagnola. Siamo di fronte a un paese dei balocchi che per ospitare un club europeo (come è accaduto di recente a Inter, Milan e Juve) non ha difficoltà a scucire un milione di dollari a partita, il doppio se è il Real di Mourinho.

Mai come in questo caso l'America è la terra delle opportunità.

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