I migranti sognano l'Italia. Ma gli scafisti sono un incubo
7 Settembre 2023 - 06:00Garrone firma "Io Capitano", storia senza retorica di due ragazzi africani che vogliono vivere meglio
Dopo Comandante, un altro eroe del mare, un altro viaggio per salvare gli altri dalla morte e noi stessi dalla colpa.
S'intitola Io Capitano, è passato ieri in concorso a Venezia, penultimo dei sei film italiani in gara (voto medio del nostro cinema al Lido: medio-alto) è prodotto da Archimede e Rai Cinema e lo ha firmato Matteo Garrone, regista e sceneggiatore con Massimo Ceccherini, Massimo Gaudioso e Andrea Tagliaferri. E ci sarebbe anche Fofana Amara, il vero capitano che a 15 anni si ritrovò a guidare una barca di 250 migranti come lui senza averne mai condotta una e davvero urlò «Io, Capitano!»: ora vive in Belgio, sposato con una donna conosciuta nel centro di accoglienza a Catania, hanno figli e aspetta il permesso di soggiorno.
Film epico e poetico, fiabesco, drammatico e picaresco, che rispetta le regole del racconto d'avventura, Io Capitano è il viaggio-catabasi - avventuroso, doloroso e gaudioso - di due giovani cugini, sedicenni, Seydou e Moussa (portati in scena da Seydou Sarr e Moustapha Fall), appassionati di musica, cellulare e maglie di calcio delle squadre europee, che decidono di lasciare il loro Paese, il Senegal, e le loro famiglie, non ricche ma dignitose, per raggiungere l'Europa. Vogliono diventare rapper o calciatori. Vogliono vivere e non sopravvivere. Da Dakar all'Italia: e in mezzo desideri, orrori, sofferenze e speranza tra atmosfere magiche (voli, sogni, visioni) e crudo realismo (sporcizia, sangue, dolore).
È l'odissea di due ragazzi africani, che però non sono emigranti economici. Non partono perché muoiono, partono perché vogliono vivere meglio. Seydou e Moussa - lo ha detto lo stesso Garrone presentando il film - «sono un simbolo della loro generazione globalizzata, parte di una migrazione che non è solo quella della fuga dalle guerre civili e dalle catastrofi climatiche». Qualcuno potrebbe persino essere sfiorato dal dubbio di una migrazioni «non necessaria». «Il 70% degli africani sono giovani e hanno il legittimo desiderio di migliorare la loro vita. È un fatto di giustizia».
Il film si apre in un villaggio del Senegal, Seydou e Moussa lavorano di nascosto per mettere da parte i soldi per quello che chiamano «il viaggio» e il sogno è quello, un giorno, di essere ricchi e famosi in qualche città dell'Europa e «firmare gli autografi ai bianchi». Anche se qualcuno che conosce come vanno a finire le fiabe li mette in guardia dai mangiafuoco: «Restate qui. L'Europa non è quella che vedete in tv. Lì c'è gente che dorme per strada...». Ma il richiamo è forte, e il sogno un incubo. Frontiere da attraversare, guardie da corrompere, fughe, spostamenti in carri bestiame, il Niger, la traversata del deserto del Sahara, la mafia libica, i lager, le torture, finalmente Tripoli, gli scafisti e il destino che mette il timone di una carretta del mare nelle mani di un ragazzo che non sa neppure nuotare. Rotta: la Sicilia. E le uniche parole in italiano conosciute sono «Cazzo» e «Mamma mia!».
Fiaba amara, nera, dolente, Io Capitano narra la realtà dei migranti senza paura, senza retorica, da un punto di vista opposto a quello più sfruttato - una storia in controcampo rispetto alle immagini che siamo abituati a vedere dall'angolazione occidentale dei servizi tv - e senza intenti polemici o battaglie politiche. Il film documenta la brutalità di un continente dove le guerre e la povertà vanno di pari passo alla corruzione, la violenza, i razzismi interni (i vari gruppi etnici rivali, la solidarietà per comunità di appartenenza), senza stucchevoli appelli a Bruxelles né j'accuse contro questo o quel governo, sovranista o meno che sia. Qui l'Italia appare da lontano, s'intravede solo un elicottero, la nostra guardia costiera fa il suo dovere (è Malta che non risponde alle chiamate) e i soccorsi sono garantiti. Chi sfrutta uomini e donne, li vende come schiavi, li tortura, li uccide, li mette su un'imbarcazione senza alcuna sicurezza di riuscire ad attraversare il mare, è dall'altra parte, di fronte a noi.
Un po' Tolo Tolo ma d'autore, un po' Pinocchio ai tempi del Gps - «Questo è il viaggio di un ragazzo che insegue il Paese dei Balocchi tradendo la madre, partendo di nascosto e scontrandosi con la violenza del mondo che incontra», ha detto Garrone - Io Capitano è un film necessario prima ancora che bello. E che sfida il tema della migrazione in Africa senza cadere in lezioncine morali o nella propaganda politica ma riflettendo sul diritto delle persone di viaggiare e di raggiungere l'Europa, ma non nei modi che sappiamo. Solo così si può debellare il traffico di esseri umani.
Alla proiezione ufficiale ha avuto 12 minuti di applausi. E se Io Capitano fosse portato nelle scuole?
Nota a margine, in tema di sovranismi cinematografici. Matteo Garrone ha scelto di non chiamare attori italiani famosi e far uscire il film, interamente parlato in wolof o francese o inglese, nella lingua originale. «Perché sinceramente non riusciamo a immaginare questi due ragazzi doppiati in italiano. Non avrebbe avuto alcun senso», ha detto l'ad Rai Cinema Paolo Del Brocco.
Buona scelta.