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Inizia la collaborazione di Allam con il Giornale Libia, consigli all'Italia

Magdi Cristiano Allam chiede al premier di imboccare la strada di un "Piano Marshall" per garantire la pace nel Mediterraneo: "La tragedia a poche miglia dal nostro Paese è una catastrofe"

Inizia la collaborazione 
di Allam con il Giornale 
Libia, consigli all'Italia

Caro presidente Silvio Berlusconii, nel nostro incontro privato a Roma lo scorso 25 gennaio mi ha colpito il profondo senso di amarezza per l'ingrati­tudine che lei avverte poi­ché, a fronte di una gran­de generosità che ispira il suo rapporto con il prossi­mo specie se in difficoltà, si ritrova a essere trattato quasi fosse un nemico dell'umanità. Ebbene og­gi lei, più di ogni altro lea­der europeo, per la sua dote di imprenditore di successo e per la specifici­tà della re­altà cultu­rale, socia­le ed eco­nomica de­gli italiani, può riscat­tarsi a te­sta alta ed essere an­noverato tra i grandi della Sto­ria pro­muoven­do il «Pia­no Berlusconi per lo svi­luppo umano e la pace tra i popoli del Mediterra­neo ». La tragedia umana che si sta consumando sull'al­tra sponda del M­editerra­neo costituisce indubbia­mente una catastrofe per quelle popolazioni in ter­mini di vittime e di distru­zioni. Al tempo stesso, piaccia o no, dobbiamo ammettere che è anche una nostra sconfitta per esserci fin qui limitati a considerare la dimensio­ne mater­iale delle relazio­ni bilaterali e multilatera­li senza curarci della di­mensione «spirituale», ovvero del rispetto dei di­ritti fondamentali della persona che sono l'essen­za della nostra comune umanità, della condivi­sione dei valori che sono alla base della democra­zia sostanziale che non si esaurisce nel processo elettorale, dell'afferma­zione dello stato di diritto che garantisce tutti senza alcuna discriminazione e vincola tutti senza alcu­na eccezione. Eppure la straordinarie­tà delle rivolte popolari che agitano gran parte dei Paesi a Sud e a Est del Mediterraneo, che han­no già portato all'allonta­namento dal potere dei capi di Stato in Tunisia e in Egitto e stanno facen­do vacillare la tirannia di Gheddafi che sta perpe­trando un genocidio ed è già stato denunciato dall' Onu per crimini contro l'umanità, offrono una rara opportuni­tà all'-Euro­pa di volta­re pagina se riuscirà a leggere corretta­m ente l'evolversi della situa­z­ione senza scadere in in­fondati parallelismi con il nostro 1989 obnubilati dal fascino dello sponta­neismo della piazza, a va­lutare criticamente il no­stro passato che ci ha vi­sto ahimè complici dei dittatori pur di aver garan­titi il petrolio e il gas, i fon­di sovrani e l'accesso ai lo­ro allettanti mercati, ad assumere delle scelte sag­ge e lungimiranti che sal­vaguardino i nostri legitti­mi interessi nel medio e lungo termine in un con­testo di condivisione del­lo sviluppo umano, della giustizia sociale, dello sta­to di diritto, della demo­crazia sostanziale e della pace tra i popoli del Medi­terraneo. Ebbene affinché que­sta prospettiva si traduca in realtà è necessario con­seguire tre obiettivi: 1) Risolvere alla radice la piaga della sofferenza econo­mica favorendo l'avvento del ceto medio per colmare il di­vario tra una casta che mono­polizza la ricchezza e una maggioranza fin troppo pove­ra, incentivando la crescita dei micro, piccoli e medi im­prenditori avvantaggiando principalmente i giovani che mediamente costituiscono tra il 60 e il 70 per cento delle popolazioni a Sud e a Est del Mediterraneo. 2) Affermareunaconcezio­ne sostanziale della democra­zia che si fonda sulla condivi­sione dei valori non negoziabi­li della sacralità della vita di tutti, della centralità della di­gnità della persona e del pri­mato della libertà di scelta, compresa la libertà religiosa degli ebrei e dei cristiani e di conversione dei musulmani senza essere condannati a morte per apostasia. In parti­colare bisogna arginare l'asce­sa al potere degli integralisti e degli estremisti islamici che praticano la dissimulazione per partecipare alle elezioni e, una volta egemonizzato il potere, uccideranno la demo­crazia sostanziale, imporran­no la ditta­tura islamica e tente­ranno di abbattere la nostra ci­viltà in crisi valoriale e identi­taria perché ci vergogniamo delle nostre radici giudaico­cristiane e siamo sempre più succubi della dittatura del re­lativismo al punto che non sappiamo più chi siamo, rac­cordandosi con i pionieri del califfato islamico che sono già tra noi arroccati nelle mo­schee, nelle scuole corani­che, negli enti assistenziali e finanziari islamici, nei tribu­nali sharaitici che noi abbia­mo concesso in ossequio all' ideologia dell'islamicamente corretto. 3) Accreditare il riconosci­mento del diritto all'esistenza di Israele quale Stato del popo­lo ebraico come un principio non negoziabile, parte inte­grante e indissolubile dei rap­porti bilaterali e multilaterali con l'Unione Europea. Dob­biamo porre fine all'ideologia dell'odio contro Israele e gli ebrei nell'interesse di tutti, perché da sempre viene stru­mentalizzata per perpetuare le dittature bellicose e aggres­sive, mantenere i popoli arabi e islamici in uno stato di sotto­missione, bloccare la crescita economica e la giustizia socia­le, negare la democrazia so­stanziale e sabotare la pace tra i popoli. Se siamo d'accordo su que­ste premesse, caro presidente Berlusconi, arriviamo al dun­que. Diciamo subito che se non vuole ripetere l'insucces­so della Confer­enza economi­ca per il Medio Oriente e il Nor­dafrica avviata dagli Stati Uni­ti a Casablanca nel 1994 e so­spesa a Doha nel 1997, del Par­tenariato euro-mediterraneo avviato a Barcellona nel 1995 e ormai lettera morta, dell' Unione per il Mediterraneo annunciata nel 2008 a Parigi e che non ha mai visto la luce; e se vuole andare oltre alle sem­plici d­ichiarazioni di buoni in­tenti come la «Banca per lo svi­luppo del Mediterraneo» an­nunciata da Craxi nel 1990, di un «Piano Marshall» per i Ter­ritori p­alestinesi da lei annun­ciato nel 2009 e la promessa fi­nora disattesa dei leader dei G-8 all'Aquila di donare 20 mi­l­iardi di dollari all'Africa entro il 2012, dobbiamo innanzitut­to convincerci che l'investi­mento a favore dello sviluppo delle popolazioni e della pace nel Mediterraneo non è un' opera di beneficenza; al con­trario corrisponde alla promo­zione dei nostri legittimi inte­ressi economici nonché alla salvaguardia della sicurezza e della pace nostra e dei nostri figli. Anche in poli­tica, quella degli statisti che hanno a cuore l'interesse della prossima ge­nerazione e non quella dei politi­canti che si preoc­cupano solo della prossima elezione come sottolineò De Gasperi, vale la regola che preveni­re è meglio che curare le con­seguenze delle malattie. Finora abbiamo colleziona­to errori su errori. Sbagliare è umano, perseverare sarebbe diabolico. Vorrebbe dire che ci vogliamo veramente del male. Non dobbiamo più oc­cuparci solo della dimensio­ne ma­teriale dei rapporti bila­terali o multilaterali. Non pos­siamo pertanto assegnare a una banca il compito di pro­muovere lo sviluppo concepi­to solo in termini economici. Smettiamola di favorire solo i potentati economici interes­sati alle grandi opere dai di­scutibili benefici per la mag­gioranza della popolazione. Se ci vogliamo ve­ramente bene e se vogliamo il bene dei nostri dirimpet­tai, mettiamoli nel­la condizione di es­sere loro i protago­nisti della loro stes­sa emancipazione economica, dia­mo loro gli stru­menti finanziari e formativi in un contesto politico e giuridico favorevole affinché da emargi­nati si trasformino in micro, piccoli e medi imprenditori. Facciamolo con la logica di chi è interessato a riscattare la loro dignità, aiutandoli affin­ché non debbano più chieder­ci aiuto. Prendiamo esempio dal Premio Nobel per la Pace Muhammad Yunus che con­cede il microcredito a chi non è in grado di dare garanzie bancarie scommettendo sul­la sua umanità. Il 98% dei pre­stiti elargiti dalla sua Grame­en Bank (Banca del villaggio) viene restituito e a beneficiar­ne sono, al 94%, donne giova­ni, analfabete e sottomesse. C'è una similitudine tra la real­tà del Bangladesh, dove Yu­n­us ha iniziato l'attività del mi­crocredito, e quella di diversi Paesi della sponda meridiona­le e orientale del Mediterra­neo, considerando la percen­tuale dei giovani, della diffu­sione dell'analfabetismo e del­la condizione di sottomissio­ne della donna. Caro presidente Berlusco­ni, probabilmente è più frut­tuoso sul piano dell'immagi­ne e del riscontro immediato in termini di voti investire nel­la militarizzazione delle co­ste, nella costruzione di cen­tri di accoglienza e centri di espulsione, nell'ampliamen­to delle carceri che ospitano per oltre il 30% stranieri nono­stante siano circa il 5% della popolazione residente caval­cando l’onda pericolosa del razzismo.Ma lei ha un’oppor­tunità unica­di fare un investi­mento di medio e lungo termi­ne per essere ricordato nella Storia d'Italia come uno stati­sta saggio e lungimirante, che ha scelto di agire anziché rea­gire, di prevenire anziché cu­rare, per assumersi intera­mente la propria responsabi­lità anziché tramandare ai fi­gli e ai nipoti un fardello in­sopportabile e ingestibile. Promuova la nascita di una Fondazione che operi sull'al­tra sponda del Mediterraneo attraverso lo strumento del microcredito, accompagnan­d­olo con un percorso formati­vo che diffonda la cultura dei diritti fondamentali della per­sona, dei valori non negozia­bili, della democrazia sostan­ziale, della pace tra i popoli. Favorisca l'accesso al micro­credito ai giovani, soprattutto alle donne, che sono le più emarginate tra gli emarginati ma sono al tempo stesso la principale leva del cambia­mento. Non dia l'immagine del colonizzatore ma bensì del sincero benefattore che si prodiga per il bene autentico del prossimo. Che tuttavia non corrisponde all'elemosi­na. La Grameen Bank esige la restituzione del credito elargi­to perché il vero obiettivo è formare delle persone re­sponsabili capaci di ergersi a protagoniste della loro vita. L'economista sudafricana Dambisa Moyo ha denuncia­to il fiume di denaro che dalle tasche dei poveri dei Paesi ric­chi vanno a finire nelle tasche dei ricchi dei Paesi poveri per­ché hanno alimentato i regi­mi africani dittatoriali e cor­rotti e hanno accreditato la cultura del parassitismo e del­la sottomissione tra i popoli. Ci insegna che gli africani più che di denaro hanno bisogno di formazione per riuscire ad essere pienamente se stessi a casa propria. Questa è la soluzione da per­seguire nel Mediterraneo. Dobbiamo investire in quelle terre e a beneficio di quelle po­polazioni perché dobbiamo favorire il loro radicamento a casa loro. Non è nemmeno lontanamente immaginabile che l'Italia o anche l'Europa possano accogliere dall'oggi al domani 50mila o addirittu­ra milioni di disperati in fuga dalla guerra, dalla miseria o dall’ingiustizia sociale. Non abbiamo altra scelta che assu­mere con grande serietà la re­sponsabilità storica di pro­muovere lo sviluppo umano e la pace tra i popoli del Medi­terraneo. Lo dobbiamo fare per noi e per loro. Lei, presi­dente Berlusconi, oggi ha que­st­a opportunità unica e irripe­tibile. Rifletta attentamente, si affranchi dai lacci e lacciuo­li del teatrino della politica, si elevi dalle miserie umane che ci appartengono ma che pos­siamo accantonare.

Tutto ciò di cui oggi leggiamo e sentia­mo passerà in secondo piano se il nome di Silvio Berlusconi sarà abbinato al leader italia­no che ha saputo avviare sul­l’altra sponda del Mediterra­neo un contesto affine al no­stro, dove prevalgono l'amo­re per la vita, la considerazio­ne della dignità della perso­na, il rispetto per la libertà di scelta, la promozione di uno sviluppo finalizzato al bene comune, la pace tra i popoli.

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