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"Ecco come il business della morte destabilizza le società"

Parla Michele Zizza, professore all'Università di Viterbo ed esperto di comunicazione: "Dietro i trafficanti ci sono realtà strutturate che invitano i migranti a pagare e partire". Sullo sfondo, lo spettro del vero obiettivo dietro il business: destabilizzare governi e società

"Ecco come il business della morte destabilizza le società"

Il funzionamento del business dell'immigrazione è stato analizzato anche nell'ultimo report dei servizi segreti italiani. Gli occhi dell'intelligence sono andati sulle sofisticate strategie comunicative messe in piedi dai trafficanti. Tutto ciò non ha costituito una sorpresa per Michele Zizza, professore all'Università di Viterbo e dottore di ricerca in comunicazione strategica. Anzi, così come raccontato su IlGiornale.it, quanto ribadito dai servizi è una verità consolidata da tempo. E che ha molteplici finalità, non solo relative al business di esseri umani.

Professore, ma quanto incidono queste strategie di comunicazione sull'aumento dei flussi migratori?

"La 'vendita di speranza' attraverso campagne mediatiche è sempre esistita, anche nelle aree di crisi, in tutte le aree di crisi, e le narrazioni si basano sul fabbisogno della gente. In questo caso la finalità è quella di vendere vere e proprie opportunità che, purtroppo, si concretizzano anche con la morte. In zone dell’Africa, dell’Asia e in altre aree di crisi, le partenze si organizzano in rete e dove non arrivano i mezzi di comunicazione di massa classici, arrivano i mezzi di comunicazione di massa 4.0 con contenuti efficaci. Lo stesso scambio di informazioni e di denaro avviene in rete con bonifici utili a far partire gente disperata. Spesso accade che parenti e amici fanno pagamenti dall’Europa o da altri luoghi del mondo per garantire un posto ai propri cari su una zattera di fortuna. Ecco il business dei signori della morte, una parte del business".

In che modo i trafficanti convincono i migranti a partire?

"Come anticipavo esistono vere e proprie campagne di informazione utili a gestire l’intero viaggio. Le organizzazioni non governative conoscono bene il meccanismo e lo conoscono bene anche le agenzie governative e gli enti statali che monitorano i flussi migratori. Dietro i trafficanti ci sono realtà strutturate che si avvalgono di società di comunicazione capaci di fornire contenuti digitali che invitano a pagare e partire. Questi contenuti sono facilmente resi virali attraverso i social network site e la chat. Una narrazione studiata che non ha alcuna contro narrazione; nessuno parla di mare agitato o scialuppe fragili e le stesse immagini di morte che noi vediamo sulle nostre coste non vengono divulgate nelle aree di partenza. Questa comunicazione è finalizzata ai flussi migratori ma nelle stesse aree, le stesse società o professionisti, si occupano anche di proselitismo per fini terroristici, sempre attraverso la rete".

Oltre alla promozione del proprio business, ci sono anche altre finalità da parte dei trafficanti nel persuadere le persone a dirigersi in Europa?

"Secondo i report della Nato, di Frontex e di altri attori che studiano la comunicazione strategica e la geopolitica, ci sono altre finalità. Qualche anno fa nel Sahel gli inglesi scoprirono che dietro la macchina delle partenze c’erano società private che avevano base nei Balcani e nel Maghreb. Le stesse società avevano rapporti strutturati con tecnici cinesi ma anche di paesi membri della Ue. “L’affare migranti” è qualcosa che va al di là del business e che ha finalità più grandi. Il governo italiano e i ministri interessati come Tajani e Piantedosi si trovano davanti a uno degli affari illeciti più importanti del nostro tempo. Un affare che può mettere in crisi governi e comunità, esattamente come sta accadendo in Italia".

Si parla anche del ruolo delle Ong e del possibile "pull factor" derivante dalla presenza delle navi: qual è la sua posizione in merito?

"Siamo tutti migranti, l’uomo non ha radici se non quelle della sua memoria. Se ci sono navi in mare la gente disperata si getta in mare pur di essere salvata; se si aprono i confini e si organizzano corridoi umanitari la gente evita il mare e si incammina attraverso rotte sicure. Io credo che le navi in mare non debbano esserci perché testimoniano una sconfitta della società fatta di essere umani. Organizzare l’assistenza dove oggi si parte, anche attraverso la realizzazione di zone cuscinetto, significa portare logistica e beni essenziali in quelle aree di crisi. Un buon motivo per far partire territori saccheggiati, abbandonati e inascoltati da sempre".

In che modo è possibile interrompere questa catena di comunicazione dei trafficanti?

"Bisogna sviluppare azioni bilaterali integrando progetti nelle aree di interesse. Progetti di sensibilizzazione alla non partenza. Una contro narrativa che descriva la realtà a cui questa gente va incontro. Ma perché ciò accada serve il sostegno dei Paesi in cui vengono organizzate le partenze. Servono poi attività investigative congiunte, tra organi di polizia, atte a contrastare l’attività dei signori della morte. Rafforzare la collaborazione tra Bruxelles e l’Unione africana, con i suoi 55 Paesi membri, costituendo un accordo strategico per aiutare le politiche migratorie locali. Infine serve anche in Italia una cultura del fenomeno che viene spesso trattato con superficialità. Lo strazio che viviamo sulle nostre coste non è colpa delle navi, dei governi o di altre organizzazioni riconosciute.

Troppo spesso, anche qui, i media e i politici dimenticano di trattare i signori della morte allo stesso modo di coloro che hanno ordinato fosse comuni e altri crimini contro l’umanità".

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