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Il fantasma pacifista di Turigliatto

Ai tempi di Marx il comunismo era uno spettro che si aggirava per l'Europa

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Ai tempi di Marx il comunismo era uno spettro che si aggirava per l'Europa. Ai tempi di Elly Schlein uno spettro comunista si aggira nel Pd: quello di Franco Turigliatto, santo patrono dei pacifisti con l'hobby di sfasciare ogni seppur flebile tentativo di costruire una sinistra seria di governo.

L'affollarsi di voci, volti e nomi fieramente pacifisti nelle liste dei Democratici (da Marco Tarquinio a Cecilia Strada), che vanno a sommarsi ai parlamentari che dopo aver votato a favore dell'invio di armi all'Ucraina ora predicano la pace con lo stesso candore della nonna che chiede ai nipotini di non litigare più per l'ultimo Pan di Stelle del sacchetto, è un grosso problema per la leader dem. Un problema che viene da lontano e assume le fattezze dell'ex senatore cacciato da Rifondazione nel 2007 per aver dissentito dalla politica estera di D'Alema, quella della partecipazione italiana all'intervento Usa in Afghanistan.

Ecco, il granitico trotzkista esponente di «Sinistra critica» (7% al congresso di Rifondazione, praticamente un'assemblea di condominio), con il suo «niet» alla guerra imperialista innescò la caduta del Prodi bis e diede la dimostrazione plastica che l'Unione fondata sul minestrone di tutti gli antiberlusconiani aveva i suoi piedi d'argilla proprio nelle frange più oltranziste del pacifismo. Che essendo una postura ideologica utopistica, è impermeabile alle ragioni della realpolitik e alla ragione in senso lato.

Siccome la storia non insegna nulla a chi non vuole imparare, il «campo largo» di oggi si porta appresso gli stessi errori di progettazione dell'Ulivo di ieri: imbarcare tutte le anime belle che propugnano paradisi pacifici in terra e portano i voti dei sognatori. Per poi ritrovarsi senza linea, divisi, appesi alle supercazzole degli alti ideali e magari senza i voti di chi preferirebbe un po' responsabilità.

Turigliatto, se ci sei batti un colpo.

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